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Eugenio Zamengo Pontrelli

In molte arti si cerca di creare, attraverso qualsiasi forma, più significato possibile aggiungendo elementi, come se ci fosse una relazione diretta tra quelli e quanto l’opera finale ne trae guadagno. Nella fotografia capita perciò spesso di vedere delle immagini nelle quali l’autore aveva, è evidente, l’intenzione di lanciare mille messaggi senza tuttavia riuscire a definire in modo preciso nemmeno un soggetto, un punto di attenzione dell’immagine stessa su cui far cadere l’occhio di chi guarda...

Corea, ©Eugenio Zamengo Pontrelli per osservatoriodigitale di luglio-agosto 2020

In molte arti si cerca di creare, attraverso qualsiasi forma, più significato possibile aggiungendo elementi, come se ci fosse una relazione diretta tra quelli e quanto l’opera finale ne trae guadagno. Nella fotografia capita perciò spesso di vedere delle immagini nelle quali l’autore aveva, è evidente, l’intenzione di lanciare mille messaggi senza tuttavia riuscire a definire in modo preciso nemmeno un soggetto, un punto di attenzione dell’immagine stessa su cui far cadere l’occhio di chi guarda.

Il momento della composizione sembra quasi sia un esercizio di riempimento della scena inquadrata, come se ogni singolo centimetro e angolo avesse il compito di fornire un suo messaggio esclusivo, spesso e volentieri distinto completamente dal senso generale che dovrebbe avere l’immagine finale. Tutto questo non solo va a discapito del livello artistico ma rischia di compromettere totalmente il significato di una fotografia e il messaggio (o i messaggi) che dovrebbe veicolare proprio perché il soggetto principale deve, in qualche modo, mettersi in competizione con molti altri per risaltare.

Cercherò di spiegarmi meglio; spesso (e direi per fortuna) si vedono immagini che hanno un soggetto chiaro, al punto da riuscire immediatamente a comprendere ciò che il fotografo ci voleva mostrare. Altre volte, purtroppo molto più frequentemente, guardando una fotografia notiamo una miriade di piccoli particolari che, in qualche modo, distraggono e tolgono l’attenzione di chi guarda dal soggetto principale; uno squarcio colorato, un uccellino davanti a un dettaglio di un palazzo o la troppa folla sullo sfondo non sfocato di un ritratto, tutti elementi fuorvianti, che confondono l’occhio mentre cerca di capire su che cosa si deve concentrare affinché il cervello possa elaborare il messaggio corretto e attribuire la giusta importanza a una parte specifica dell’immagine stessa.

È inutile agire in post produzione sul contrasto perché comunque la foto risulterà piatta poiché la profondità dei piani non è data solo dalla corretta messa a fuoco del soggetto principale o dallo sfondo o, ancora, da quanto ci sia in primo piano: il discorso è appunto più complesso, proprio perché in origine va tenuto conto di “quanto” ci sia nell’inquadratura e in che modo tutto ciò peserà sull’immagine finale. La composizione è un atto importantissimo, ne abbiamo già parlato, ed è quanto di più logico ci sia da imparare per prima.

Per quanto mi riguarda ho una regola precisa che mi sono imposto già da moltissimo tempo: provare a essere il più “puliti” possibile e con questo non intendo il livello di semplicità della classica foto minimal, ma impegnarsi a capire che cosa veramente componga la scena tale da renderla speciale, mettendoci in condizione di “sentire il bisogno” d'immortalarla. Semplicità significa anche capacità di fare delle scelte, di sottrarre invece di aggiungere proprio per dare più spazio al soggetto e metterlo in evidenza rispetto al resto. Semplicità è pulizia ma soprattutto, insieme, donano eleganza e significato alle nostre foto.

 

 

Data di pubblicazione: luglio-agosto 2020
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