Elliot ErwittÈ uno dei fotografi più ironici in assoluto, non solo nei tratti caratteriali ma anche nei suoi scatti. Sto parlando di Elio Romano Erwitz, al secolo Elliott Erwitt. Francese di nascita, ma ebreo russo per origini familiari, le sue foto in bianco e nero hanno fatto il giro del mondo.

Nato a Parigi nel 1928, ha trascorso gli anni della prima infanzia in Italia fino al 1938; poi, successivamente alla proclamazione delle leggi razziali, lui e i genitori hanno dovuto lasciare il nostro Paese per emigrare negli Stati Uniti, dove Erwitt ha studiato fotografia al Los Angeles City College.

In gioventù ha seguito l’esercito americano prima in Francia e poi in Germania come assistente fotografo, per essere assunto in seguito per lavorare ad un progetto fotografico per la Standard Oil. Dopo essersi, per così dire, “fatto le ossa” come assistente fotografo, ha cominciato a camminare sulle proprie gambe proponendosi come free-lance e collaborando ad importanti riviste fotografiche, quali Life e Collier’s Look, nonché con compagnie aeree come Air France e KLM.

Agli inizi degli anni ’50 (per l’esattezza nel 1953) ecco il salto di qualità con l'ingresso nella squadra di fotografi dell’Agenzia Magnum e l'inizio del suo girovagare per il mondo.

Fra i suoi maestri c’è Henri Cartier Bresson, da cui ha ereditato la capacità di cogliere l’attimo decisivo in uno scatto; molte sue fotografie sono, appunto, la rappresentazione di un attimo consacrato a divenire parte dell’eternità.

Tante sono le sue foto conosciute dal grande pubblico, compresa la serie sui cani che sono stati il soggetto di ben quattro suoi libri, di cui l’ultimo, “Elliott Erwitt’s Dogs” del 2008, è sicuramente il più conosciuto.
In senso assoluto però, la sua foto più famosa è quella che ritrae Jacqueline Kennedy che stringe al petto la bandiera americana durante i funerali del marito John Kennedy; lei ha un cappello nero con la veletta a coprirle il viso, ma sotto si riesce ad intravedere una lacrima: in un attimo, in quella lacrima che cade, Erwitt è riuscito a cogliere tutto il dramma di quel giorno, in un attimo ha mostrato al mondo la sua eccezionale bravura, quella per cui lui oggi appartiene di diritto al gotha della fotografia mondiale.

Nei suoi lavori, anche in quelli più seri ed intellettualmente impegnati, non c’è mai retorica: lui ha la capacità di racchiudere la storia, anzi, spesso la Storia (sì, proprio quella con la “S” maiuscola) nello spazio di un’inquadratura; un esempio significativo di questa sua capacità si riscontra nella serie di fotografie realizzate nell’ormai lontano 1950 sulla questione razziale. Un lavoro che in realtà ha trovato la sua conclusione definitiva solo nel 2009, quando ha scattato quella che tra l’altro è una delle sue foto preferite e che ritrae Barack Obama e sua moglie Michelle che si tengono per mano e salutano la folla, ossia lo scatto del primo Presidente nero eletto alla Casa Bianca.

E questa foto è emblematica anche per la storia della fotografia, perché oltre alla coppia presidenziale ritrae una folla di mani alzate tutte colte nell’attimo di fotografare con i telefonini: è il riassunto di come è cambiata la fotografia - sociologicamente parlando, intendo - con l’avvento dell’era digitale.

Di questa era in cui tutti fotografano, lui, come professionista, non ha però affatto paura, perché è convinto che il fotografo, quando è un bravo fotografo, non può comunque essere scalfito dalla marea dei dilettanti; sua infatti è la frase “Tutti possono avere una matita e un pezzo di carta, ma pochi sono i poeti”.

Ed Eliott Erwitt, un poeta, nel suo campo, lo è di sicuro.

Cerca su Osservatorio Digitale