Luca Tranquilli intervistato da Osservatorio DigitaleÈ bello parlare di fotografia in ogni sua forma: parlare di tecnica, di fotografia d’arte, di festival di fotografia, di filosofia della fotografia (e proprio a questo proposito è uscito un libro molto bello: Filosofia della fotografia, a cura di Maurizio Guerri e Francesco Parisi, Raffaello Cortina editore, che consiglio a tutti gli appassionati). Insomma, di fotografia è giusto parlare in tutte le sue declinazioni, ma credo che sia utile arrivare poi anche al sodo e raccontare le storie di chi, con le foto, riesce a sbarcare il lunario. Eh sì, perché, nonostante la profonda crisi in cui questo settore versa, ci sono comunque – e per fortuna! - anche persone che con la fotografia riescono a vivere guadagnandosi uno stipendio.

Il mese scorso, incontrando Fernanda Bareggi, vi avevo parlato dei fotografi di grandi eventi; questa volta invece vi parlo dei fotografi d’interni e lo faccio dopo aver incontrato Luca Tranquilli, un professionista che ha trovato la sua strada nel variegato mondo della fotografia specializzandosi, appunto, in fotografia d’interni.

od: Quando hai iniziato con la fotografia?

Luca Tranquilli: Ho ricevuto la mia prima macchina fotografica a 8 anni, come regalo per la mia prima comunione. In maniera professionale ho invece iniziato a fotografare a 21 anni, ora ne ho 39, quindi 18 anni fa.

od: È stata una scelta voluta o una casualità?

L.T.: È stata una scelta consapevolmente voluta ma graduale. Tutto è nato con l’avvento di Internet: nel ’95-’96 ho avuto la prima connessione a Internet, ho visto che si potevano fare diverse cose sfruttando anche la fotografia, così ho cominciato con i vecchi siti dove venivano pubblicate le fotografie (per esempio Usefilm); da lì una cosa che era nata come passione, man mano ha cominciato a diventare lavoro.

od: Come hai fatto a trasformare questa passione in lavoro?

L.T.: Ho cominciato a proporre servizi di fotografia legati ad Internet, anche perché nel frattempo con degli amici avevo aperto un’azienda che si occupava di siti. Nel corso degli anni, con l’avvento della fotografia a 360°e quindi poi dei Virtual Tour, ho cominciato a sfruttare quel canale.

od: Che cosa ha di interessante dal punto di vista lavorativo il canale del Virtual Tour?

L.T.: Di interessante ha che ti permette di sfruttare la fotografia in un ambito diverso da quello classico - cioè il formato rettangolare stampato su carta o visibile sul monitor - ed è invece una fotografia che ti rende partecipe di quello che stai vedendo, perché con quel tipo di foto puoi interagire: in un Virtual Tour puoi girare negli ambienti; una fotografia a 360° la puoi appunto vedere a 360° e ti permette di essere dentro lo spazio, dentro gli ambienti.

od: Quali sono i clienti interessati a questo tipo di fotografia?

L.T.: Il settore principe è l’alberghiero e quindi buona parte dell’indotto: alberghi, ristoranti e tutti i locali che hanno a che fare con il pubblico. Anche l’immobiliare si presterebbe molto a questo tipo di fotografia, però quella di fascia alta, perché su un appartamento di 250mila euro non troverai mai nessun agente immobiliare che investirà sei, settecento o anche mille o millecinquecento euro per fare un Virtual Tour. Il problema grosso della fotografia d’interni nel settore dell’immobiliare in Italia è che l’immobiliare stesso non ci crede. Anche se visiti siti di fascia alta, puoi vedere che hanno foto tendenzialmente fatte in casa. Sono pochissimi in Italia quelli che si affidano a professionisti. Negli Stati Uniti invece è tutta un’altra cosa: là, chi fa Real Estate ha un patentino.

od: A questo proposito, tu possiedi un patentino: cos’è? Come lo hai ottenuto?

L.T.: Io sono certificato con Google Maps Business View: praticamente è un progetto di Google che porta la tecnologia Street View all’interno delle attività commerciali. Per strada Google manda le macchine, che sono direttamente controllate da Google, quelle con la palla sopra per intenderci. Dentro le attività commerciali invece manda i fotografi. Nel 2012 Google ha cominciato a selezionare fotografi in tutta Italia ed io sono stato tra i primi.

od: Come ci sei arrivato? Ti sei proposto tu?

L.T.: Sì. Ho inseguito questa cosa con molta costanza e disciplina. Avevo saputo di questo progetto circa due anni prima che partisse: navigando su Internet nei siti di settore dedicati ai Virtual Tour avevo scoperto che c’era questo progetto pilota. Allora ho cercato il sito di Google specifico, ho trovato un forum, ho inviato una richiesta; devo premettere che nel corso degli anni ne ho mandate ben tre e all’inizio non rispondevano, ma poi un giorno mi è arrivata una e-mail in cui dicevano che avrebbero iniziato le selezioni.

Ho studiato un manuale, ho sostenuto un esame pratico e uno teorico e poi ho conseguito la certificazione. Per questo progetto solo i fotografi certificati Google possono proporsi, perché c’è una tecnica di scatto, ci sono delle regole da seguire che solo chi ha fatto il corso per la certificazione conosce. In pratica questo progetto ti permette di portare la tecnologia Street View nelle attività commerciali e quindi, cosa fondamentale, offre la possibilità ai clienti di visitarle virtualmente.

od: Tu quindi ti sei specializzato in fotografia di interni: ci sei arrivato per scelta, per passione, per caso?

L.T.: Nel corso degli anni la fotografia l’ho provata tutta: se, come nel mio caso, nasce per passione, in un primo momento cominci ad esplorarla tutta, fino a che poi ti rendi conto che ti piace un determinato settore più di un altro. Personalmente, sperimentando e provando, ho scoperto che a me piaceva molto la fotografia “immersiva”, quella panoramica, il Virtual Tour che si sposa con gli ambienti da visitare e quindi la mia scelta è stata una conseguenza di tutto questo.

È venuta prima la parte Virtual Tour e poi, a seguire, quella della fotografia d’interni vera e propria, anche perché anni fa la fotografia d’interni veniva fatta per un certo tipo di editing, invece ora il settore si è allargato: l’avvento di portali che puntano su questo tipo di fotografia ha permesso di ampliare il mercato. Però va detto che il mercato italiano in questo settore è ancora molto indietro.

od: Tu lavori solo sul mercato italiano?

L.T.: No, anche sul mercato estero, tramite committenze portate da collaboratori esteri: spesse volte il cliente non è mio diretto, mi viene presentato da altri collaboratori.

od: Mi puoi fare un esempio concreto?

L.T.: C’è un sito di scambio abitativo, ad esempio, che opera principalmente in Germania e un mio collega tedesco si trovava fortunatamente talmente ingolfato di lavoro che mi ha chiamato chiedendomi di venire a lavorare una settimana lì da lui. Ogni tanto però capita che mi arrivi anche qualche committenza italiana che mi chiede qualcosa all’estero e quindi vado.

Un altro settore che mi ha contattato è l’editoria interattiva: hanno visto dei miei lavori pubblicati su alcuni siti per quanto riguarda le immagini a 360°; stavano preparando un libro digitale e volevano inserire delle foto già fatte da me e poi me ne hanno commissionate altre da scattare sempre su Roma. Il soggetto era il Quartiere Coppedè.

od: Quindi sempre nell’ambito settore abitativo architetturale…

L.T.: Sì, perché è il settore dove la fotografia “immersiva” trova maggior sviluppo; io ho fatto anche foto ai Giardini Schoenberg di Vienna posizionandomi proprio al centro del parco: è bello a vedersi però lascia poco, invece dentro ad un ambiente architettonico, il Virtual Tour ti permette di sfruttare tutte le sfaccettature e di vedere bene tutti i particolari, insomma, di viverlo ancor prima di arrivarci.

Oggi le persone, quando decidono di fare un viaggio, vanno su Street View e guardano il posto in cui dovranno alloggiare; allora perché non dar loro la possibilità di vedere bene anche l’interno degli ambienti che visiteranno? C’è chi lo capisce e c’è chi non lo capisce.

Ad esempio, per quanto riguarda questo progetto di Google, la catena alberghiera Best Western è stata la prima a capirne le potenzialità e a sposare questa tecnologia per tutti i suoi hotel. Così, lo scorso anno, io e altri colleghi abbiamo fotografato tutti e 200 gli alberghi della catena.

od: Quindi dal punto di vista remunerativo è un lavoro che dà da vivere?

L.T.: Sì, ci si può vivere, anche se va detto che non ti arricchisci. Secondo me con la fotografia c’è un solo settore in cui se sei bravo fai i soldi, ed è quello della moda; è l’unico, non ne conosco altri, a meno che tu non sia un mostro sacro, tipo Gabriele Basilico. Ciò detto devo comunque ammettere che con il mio settore ci vivi: ti togli le tue soddisfazioni professionali e ci guadagni.

od: Se un giovane volesse iniziare a fare questo come attività, come dovrebbe muoversi?

L.T.: Iniziare non è difficile. Il problema è che adesso la fotografia è vista spesso soprattutto come fotografia di viaggio e ci sono molti che dicono: “bello, voglio girare il mondo e fotografare per National Geographic”. Ragionando così si perdono di vista altri settori più ricchi di opportunità e per questo motivo spesso i fotografi alle prime armi si impantanano in strade strabattute e che difficilmente portano un guadagno concreto perché ormai il settore è saturo.

Molti non tengono conto del fatto che sono tanti gli aspetti della fotografia. Ad esempio, altro settore in cui conosco gente che guadagna bene è quello della fotografia medica, però è un campo a cui nessuno che si avvicina alla fotografia per passione va a pensare, te ne rendi conto solo poi, man mano che ti addentri.

Io ho fatto anche fotografie di sport e fotografie di matrimonio, però poi, fotografando interni, mi son reso conto che in questo campo vedi posti diversi, conosci gente diversa, scopri storie diverse e questo mi piace. Mi occupo di questo settore perché mi ci sento portato, mi appassiona, e di conseguenza lo faccio meglio.

od: Certo, ho capito il punto, però ti dicevo: una persona alle prime armi, fattivamente come deve fare per iniziare a lavorare e a guadagnare nel tuo campo?

L.T.: Bisogna cominciare a fotografare e proporsi, non c’è altra via. Io, ad esempio, ho iniziato a fotografare e ho cominciato a bussare alle porte dell’alberghetto di zona, e ho detto: “guarda questo è un Virtual Tour” (lo avevo fatto con una compattina dove di foto c’erano 10 minuti poi c’è stato tutto un lavoro enorme di post produzione); in seguito è esploso un boom in questo settore e la tecnologia è migliorata tantissimo, sia a livello di obiettivi sia a livello di hardware e software, però, come ti dicevo, ti devi proporre. Se tu vedi che quel tipo di fotografia che fai può interessare a qualcuno, vai là e bussi; poi c’è anche chi ti chiude la porta, però è l’unico modo.

Quello che voglio dire è che le scuole di fotografia sono utili, certo, perché ti impostano, ti insegnano la tecnica, però alla fine è il cervello del fotografo quello che conta. Ci son tanti fotografi di rilievo che fotografano senza avere chissà quali attrezzature: Berengo Gardin, ad esempio, quando fotografa va in giro con una Leica, sì, ma non ha l’ultimo modello. La tecnologia aiuta, ma ci devi mettere del tuo, altrimenti non fai nulla d’interessante.

Il pensiero dei fotografi professionisti è abbastanza allineato sull’idea che non è la macchina che fa il fotografo. Detto questo, però, sinceramente non ti nascondo che se vai da un cliente e hai un’attrezzatura non professionale, quello storce il naso.

Però per quanto riguarda l’immagine a 360° l’unico modo di fruirla è attraverso un sistema informatico: un computer, un tablet, un telefonino, quindi la risoluzione è quella che è, e dunque se fai una foto con una mega macchina non ti cambia molto rispetto ad un cellulare, perciò in ultima analisi la mega attrezzatura conta poca in questo settore. Qui quello che conta è il risultato finale.

Certo, se fotografi un ambiente in cui c’è una differenza d’illuminazione di quattro stop da un lato all’altro e non sai come compensare questa cosa, il risultato non ce l’hai; però la fotografia d’interni non è una fotografia concettuale, ma tipicamente commerciale, quindi lo scopo che devi raggiungere è quello di soddisfare il cliente. Qui non c’entra niente il discorso che purtroppo in molti fanno, ossia: faccio il fotografo perché è figo fare il fotografo, perché giro il mondo, perché esprimo me stesso. Puoi esprimere te stesso, certo, però in questo tipo di fotografia il cliente viene per primo, quindi tu quello che prometti al cliente devi dare; poi ti puoi divertire, nel senso che hai finito il lavoro e magari l’ambiente è bello perché sei in una villa megagalattica e allora fai anche qualche prova tua, ma te la tieni come scatto sperimentale per il tuo archivio personale; quando entri dentro casa di qualcuno per fotografare non è che pensi: “ah che figata, ora provo ad aprire il diaframma, ad alzare o abbassare gli ISO e via dicendo”: no, devi portare a casa il risultato perché è quello per cui stai là dentro.

E comunque, per rispondere alla tua domanda: devi muoverti, darti da fare, devi fotografare e proporre il tuo lavoro al potenziale cliente, che in questo caso può essere un albergo, un locale pubblico, un ristorante, un’agenzia immobiliare (anche se, come ti ho detto prima, in Italia è un settore che ancora non ha capito bene l’importanza di una fotografia d’interni fatta bene, con foto a 360°).

od: Cos’è per te la fotografia?

L.T.: Una passione. Io ho avuto la fortuna di trasformare quello che per me era un hobby - perché a 8 anni non pensi ad un guadagno - in un lavoro. Da questo punto di vista sono fortunato, perché sì, certo, i soldi contano, ma poi alla fine fondamentalmente faccio quello che mi piace, quindi non sono i 50 euro in più o in meno che mi fanno dire prendo il lavoro o non lo prendo. Poi c’è chi lo vede solo come un guadagno, però credo sia una percentuale bassissima.

od: Prima che iniziassimo questa intervista mi hai detto che per te meno persone ci sono in una foto e meglio stai, quindi non è forse anche questo che ti ha portato a scegliere un settore come il tuo?

L.T.: Ti confesso che personalmente ho sempre considerato i fotografi di matrimonio o di cerimonie in generale come degli eroi, nel senso che, già all’epoca in cui non c’era ancora il digitale e si scattava in pellicola c’erano gli invitati che ti rompevano le scatole perché ti passavano in mezzo per fare loro le foto; adesso, con l’avvento del digitale con cui puoi fotografare con la macchinetta e con il telefonino (e tutti hanno un telefonino) o con l’iPad (e tra l’altro è davvero bruttissimo vedere sta gente con gli iPad alzati, che vanno in giro tipo cartellone del ring di pugilato), la situazione è peggiorata, è una follia pura. Quando sono ospite di un matrimonio o di una cerimonia, guardo i miei colleghi fotografi con ammirazione: io non ci riuscirei, uscirei di testa ad avere tutti gli altri intorno che girano, che scattano foto all’impazzata, che disturbano il lavoro.

Anche nella ritrattistica la parte fotografica occupa una parte marginale, perché tu devi entrare in sintonia con la persona che stai fotografando: magari parli 3 ore e fai uno scatto.

Io invece spesse volte entro dentro una villa enorme per fotografarla, il più delle volte non ci sono neanche i proprietari ma c’è solo il custode, che rimane con me 5 minuti, poi gli dico: “se hai da fare fai, io tanto sono autonomo, se ho bisogno ti chiamo” e quindi mi ritrovo a passare due, tre, quattro ore dentro degli ambienti in piena solitudine e sto bene; meno persone ci sono, meglio sto, perché posso concentrarmi di più sulla fotografia rispetto a quello che ho intorno. Anche perché, ripeto, essendo la mia una fotografia commerciale, mi devo concentrare per raggiungere il risultato. Poi appena ho finito di fotografare possiamo uscire, andarci a prendere una birra, non è che io sia un asociale, tutt’altro; quel che intendo dire è che nel momento in cui sto fotografando ci sono io, l’attrezzatura, l’ambiente che devo fotografare e nient’altro.

Un ringraziamento a Luca Tranquilli per la sua disponibilità (soprattutto perché l’intervista l’abbiamo fatta mentre stava lavorando e quindi ha avuto la cortesia di sopportare gente intorno mentre scattava). Il suo sito Internet è www.lucatranquilli.com

(data di pubblicazione: luglio 2014)

Cerca su Osservatorio Digitale