August SanderChi è stato il più grande fotografo del Novecento? A questa domanda non so rispondere, so però che fra i primi dieci c’è sicuramente August Sander. Ho visto di recente alcuni suoi lavori e inizialmente non avevo capito di chi si trattasse: mea culpa, certo, ma la nota di tristezza, nel caso di Sander, non è data tanto dalla mia ignoranza quanto dal fatto che il suo lavoro non fu riconosciuto come meritava mentre lui era in vita.

Tedesco d’origine e di nascita, si avvicinò alla fotografia per puro caso, o meglio, per destino, poiché incontrò un fotografo mentre faceva il minatore. Fu fin da subito incuriosito e attratto dal mezzo fotografico e così si diede da fare per acquisire una buona preparazione tecnica, cominciando ad esercitare la professione a Linz, in Austria.

In un primo momento si avvicinò allo stile pittorialista, molto in voga in quei primi anni del secolo scorso, ma la sua strada era un’altra e se ne accorse ben presto.

Quando nel 1910 tornò a Colonia incontrò alcuni artisti che lo convinsero a ridefinire la sua ritrattistica; decise così di abbandonare lo stile pittorico che tendeva a reinterpretare il mondo secondo una visione molto personale e cominciò a realizzare scatti fotografici che mettessero in evidenza la realtà così com’era, nuda e cruda. L’imprinting pittorialista gli rimase solo per la scelta dei primi soggetti che decise di fotografare quando imboccò questa nuova strada, diciamo così più “realistica”, in quanto i suoi scatti iniziali furono dedicati al mondo rurale, che, appunto, era un soggetto molto amato dalla fotografia pittorialista. Sander decise però di fotografare i contadini per una motivazione sociologica e non estetica: quel mondo stava scomparendo, lui lo comprese e volle ritrarlo nella sua realtà, perché restasse come testimonianza di ciò che era realmente e che poi non sarebbe stato più. In un certo senso con questo suo lavoro fu uno dei primi a realizzare dei reportage documentaristici.

Rammendatrici, August Sander

In seguito continuò nella ritrattistica realizzando dei ritratti meravigliosi, icastici, tecnicamente perfetti, ma il fine dei suoi scatti non era di mettere in risalto l’essere umano inteso come singolo uomo, bensì la società.

Nel 1925 iniziò un’opera monumentale, quella della classificazione della società tedesca. Titolo del lavoro: “Menchen des 20 Jahrhunderts “, conosciuto in Italia come “Ritratti del Ventesimo Secolo”.

Questo lavoro doveva essere una storia fotografica dello sviluppo urbano dal villaggio alla metropoli attraverso le immagini degli abitanti: i contadini, gli aritigiani, i cittadini medi, i capitani d’industria, le donne, gli artisti, i commercianti, gli aristocratici, gli intellettuali, passando però anche attraverso i ritratti degli emarginati, e persino dei morti.

Pubblicò una prima parte del suo lavoro nel 1929 e lo raggruppò sotto il titolo di “Volti del nostro tempo”.

Con i suoi scatti offrì uno dei più completi e approfonditi spaccati sulla Repubblica di Weimar sotto il punto di vista della documentazione fotografica. Durante il Terzo Reich il suo lavoro venne purtroppo ostacolato e dovette affrontare il dolore della prigionia e successivamente della morte del figlio Erich, che fu un membro del Partito di Sinistra.

Il volume Volti del nostro tempo fu distrutto nel 1936 per volere del governo nazista e nel 1944 il suo studio venne raso al suolo durante un bombardamento. Fortunatamente Sander nel frattempo si era rifugiato in campagna e lì aveva trasferito anche un certo numero di lastre fotografiche che scamparono così ai disastri della guerra.

Fra le fotografie che si sono salvate ci sono anche quelle che appartengono alla serie di scatti che lui nel 1938 riuscì a fare agli Ebrei perseguitati, un portfolio che fornisce una straordinaria documentazione di una delle pagine più nere della storia del Novecento.

Bambini, August Sander

Negli anni Cinquanta lottò strenuamente per il riconoscimento del suo lavoro di una vita, lavoro che fu osteggiato durante il periodo nazista ma che purtroppo non conobbe tempi migliori nemmeno a conflitto terminato: infatti Sander morì senza aver potuto vedere la pubblicazione di nessuno dei suoi portfolio al completo.

Prendendo a prestito la lezione di Roland Barthes, si può dire che il punctum nei ritratti di Sander è dato dalla concentrazione sull’interiorità dei suoi personaggi e questa interiorità che balza prepotentemente agli occhi di chi guarda le sue fotografie della società tedesca ante guerra è ciò che continua a commuovere ancora oggi. L’interiorità estrae dalle immagini l’emozione vitale dei soggetti, restituendocela perfetta e intatta nel tempo. È proprio questa emozione che ci emoziona – scusate il gioco di parole – e molto probabilmente la forza emotiva trasmessa dagli sguardi dei soggetti ritratti è ciò che ha smosso qualcosa nell’interesse della critica che, alla fine, anche se tardi, ha riconosciuto nell’ex minatore tedesco uno dei più grandi fotografi documentaristi d’Europa.

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