Non lo è per un motivo molto semplice: “La fotografia è un oggetto materializzato che si stampa, si ha, si guarda (…) è ciò che i tuoi genitori hanno fatto quando tu eri bambino. È qualcosa di intrinseco, che si tocca. Oggi esistono solo immagini e le immagini non sono fotografia e il processo di eliminazione della fotografia è in corso”.

Se ci riflettete, in effetti da quando gli smartphone sono diventati l’estensione del nostro braccio abbiamo assistito a un’impennata senza precedenti nella produzione di immagini; l’avvento dei social network ha contribuito ulteriormente a questa “bulimia” perché ha reso la pratica fotografica un fenomeno di massa.

Tutti oggi fotografiamo tutto, col solo scopo di postarlo in rete. Siamo davanti ad un panorama mozzafiato? Prendiamo il nostro telefonino, scattiamo una foto e la postiamo su Instagram. Stiamo bevendo un aperitivo o mangiando un piatto prelibato? Estraiamo il cellulare, facciamo una foto e la mettiamo su Facebook.

La fotografia è diventata un bene di consumo, un oggetto visivo da consumare in tempo reale.

Fotografia di Giulio Limongelli stampata in camera oscura da file digitale su carta baritata IlfordMentre riflettevo su tutte queste cose, mi sono ricordata che all’inizio dell’estate mi era arrivato un comunicato stampa dal titolo L’importanza della stampa nella fotografia di oggi: la Retro-innovazione di Giulio Limongelli tra analogico e digitale, dove veniva messa in evidenza la considerazione che l’immediatezza della smartphone photography e la diffusione della cultura dell’immagine a livello capillare stanno comunque producendo una problematica di grande valore storico-sociale.

Il bombardamento di immagini cui siamo quotidianamente sottoposti ha come effetto molto probabile l’oblio del ricordo. La fotografia, fin dalla sua nascita, ha sempre avuto fra i suoi scopi principali quello di testimoniare e di documentare, di lasciare una traccia tangibile per i contemporanei ma anche per le generazioni che sarebbero seguite. Una foto era una storia concreta: di un volto, di un’esistenza, di un ricordo.

In realtà anche oggi la fotografia ha (o dovrebbe avere) il compito di lasciare una traccia tangibile, che rimane e che può e deve essere ritrovata e recuperata. Ma perché ciò accada, occorre che venga stampata. Non basta che sia conservata in un archivio digitale o, peggio ancora, che ci si limiti a postarla da qualche parte in rete.

Una cultura si costruisce attraverso il ricordo, ma anche attraverso la selezione dei ricordi”, disse Umberto Eco durante una sua lezione all’ONU dal titolo “Contro la perdita della memoria”. La cultura è fatta di tante cose, piccole e grandi: fra queste rientra sicuramente la fotografia. Ma badate bene, ho appunto scritto “fotografia” non “immagine”.

Le immagini passano, le foto, quelle sì, restano. Ma, ripeto, perché una foto resti, deve, necessariamente, essere stampata. È una sorta di imperativo categorico, non c’è via di scampo.

Come veniva, secondo me giustamente, dichiarato nel comunicato cui accennavo prima, sia che riguardi “fotografi 2.0”  - come gli utenti e il popolo dei social media - sia che riguardi l’approccio del professionista, grande o piccolo che sia, è importante ricordare che solo la stampa consente da un lato di conservare realmente un ricordo da un punto di vista fisico, e dall’altro solo tramite essa si può operare un processo di selezione attento che altrimenti si perderebbe nelle immense opportunità offerte dalla tecnologia digitale.

La fotografia, a furia di diffondersi in un mondo virtuale, intangibile, liquido, è divenuta anch’essa, virtuale, intangibile, liquida. Ciò che è liquido, però, per sua natura può avere diverse forme e ciò che ha diverse forme, di fatto, molto spesso, non ne ha nessuna, detta in soldoni: se una foto non viene stampata, non sopravvive all’oblio del tempo.

Infatti affidarsi ai soli file digitali, riordinare le nostre foto esclusivamente in archivi digitali credendo che questi possano sopravvivere al trascorrere degli anni è utopia bella e buona.

Fotografia di Giulio Limongelli stampata in camera oscura da file digitale su carta Ilford PortfolioInoltre, in un mondo in cui tutto viene fagocitato nella durata di un battito di ciglia, è fondamentale ritrovare il tempo per fermarsi e riflettere; un’immagine che scorre sul monitor di un PC, viene consumata velocemente e altrettanto velocemente ce la dimentichiamo, mentre una fotografia stampata la possiamo toccare, oltre che vedere, la possiamo osservare con calma, si presta ad essere guardata in maniera riflessiva: la stampa sarà la vera detentrice dei nostri ricordi, piccoli e grandi; tutta quella immensa montagna di immagini che ci scorre davanti agli occhi ogni giorno, sarà invece destinata a non restare, semplicemente a scomparire nello spazio di un click (click di mouse, non di apparecchio fotografico!).

Ovviamente ci sono però ancora quelli che le fotografie le stampano: sono i grandi e i piccoli autori della fotografia, sono quelli che le foto le vogliono vedere, toccare e mostrare (ad un pubblico piccolo - come può essere quello della cerchia degli amici e parenti- o ad uno più vasto, come può essere quello di una mostra).

Questi professionisti e fotoamatori sono i protagonisti del nuovo mercato della stampa, ma devono operare delle scelte basate non solo sul momento storico in cui viviamo ma anche sull’evoluzione tecnica odierna.

Le scelte sono orientate, sostanzialmente, in due direzioni: la stampa analogica o la stampa digitale. Due mondi che non sempre sono in contrapposizione e spesso dalla connessione tra innovazione e tradizione si ottiene un valore aggiunto senza paragoni.

Esistono infatti stampatori che sanno sapientemente unire le pratiche di ripresa più attuali con le tecniche di stampa più antiche. Uno di questi è sicuramente Giulio Limongelli, il quale ha un approccio molto personale e particolare: si serve dei vecchi metodi di stampa con i file digitali, utilizzando un ingranditore digitale per stampare così come si stampava da un normale negativo.

Questa particolare visione della stampa fotografica lo ha portato alla creazione di uno strumento di sua invenzione, il Digingranditore, che gli ha consentito di tornare in camera oscura con dei file digitali, potendoli trattare come se fossero dei negativi, quindi con gli stessi procedimenti di mascherature, bruciature ed esposizioni differenziate.

La carta viene sviluppata nel processo in bacinella così come si faceva anche con le stampe del negativo.

File originale, esposizione e stampa. Fotografia di Denis Ziliotto

In un’epoca in cui l’immagine si orienta quindi verso una visione “full digital”, legata ad esempio alle stampe a getto d’inchiostro o anche ad alcuni sistemi di stampa che prevedono sì un processo chimico ma non la proiezione del file, Limongelli desiderava tornare ad un prodotto più genuino che tenesse comunque conto dell’evoluzione raggiunta dalle macchine.

Il valore della sua stampa si articola quindi su diversi livelli: come prima cosa un livello “filosofico”. Limongelli produce immagini “esposte alla luce”, ovvero quella qualità unica e intrinseca che conferisce loro la dignità di chiamarsi effettivamente “fotografie”. Tutto ciò che viene stampato attraverso sistemi non convenzionalmente fotografici ha più a che fare con le arti grafiche e dà origine a tutti gli effetti ad un’immagine e non a una vera e propria fotografia.

Il secondo livello è legato alla coerenza. È fondamentale poter tornare ad avere una produzione coerente con le produzioni analogiche precedenti seppur partendo da supporti digitali: è il caso che si presenta ad esempio a collezioni museali o archivi.

Il terzo livello è temporale: la stampa fotografica in senso canonico ha superato la prova empirica del tempo nell’ambito del bianco e nero. Le fotografie realizzate in questo modo hanno svariati decenni di vita e sono ancora li, a testimonianza effettiva di una resistenza innegabile. A differenza della stampa digitale, che deve essere ancora sottoposta alla prova del tempo, non necessita di alcuna certificazione.

Da una fotografia di Giulio Limongelli: file sul piano di esposizione, fase di sviluppo e prodotto finito su carta

C'è infine un quarto livello, quello legato all’unicità: in Camera Oscura si producono “pezzi unici”, cioè tanti originali, differenti l’uno dall’altro anche se provenienti dallo stesso negativo o file. Questo è il valore aggiunto che deriva da un procedimento artigianale, il valore dato dal lavoro dell’uomo e dalla sua esperienza. La certificazione più autentica, infatti, è data sicuramente dalla tradizione di un mestiere fatto a regola d’arte.

Per un vero fotografo (e nell’aggettivo “vero” può essere incluso tanto il fotografo professionista quanto il fotoamatore), la stampa è anche la cartina di tornasole del proprio lavoro: una foto vista sul monitor di un computer non sempre ha la stessa resa quando viene stampata. Foto che ci appaiono capolavori, una volta stampate su carta, a volte, possono deluderci… ma solo così possiamo capire quanto siamo bravi e, nel caso, correggere il tiro.

Inoltre, un giorno lessi, credo su Facebook, la frase di un fotografo che diceva che se stampassimo tutti gli scatti che facciamo, molto probabilmente non saremmo sommersi da così tante immagini di ciò che ingurgitiamo o di tramonti dozzinali. Io in realtà non ho nulla contro chi posta sulle proprie bacheche personali ciò che mangia o ciò che vede, fa parte del gioco. Ma non bisogna però confondere i piani: un conto è ciò che fotografiamo con il cellulare per postarlo fra amici, un conto sono le foto che facciamo per ricordarci emozioni o fatti importanti della nostra esistenza.

È un po’ come la differenza fra un selfie e un autoritratto: il primo è un’immagine, il secondo, oltre che  un ricordo, è soprattutto un tangibile esempio della nostra creatività. Ma perché un ritratto sia un ritratto e non un selfie deve poter reggere alla prova di stampa. Io almeno, la penso così.

Senza contare che stampare le foto dei nostri momenti più belli può essere un ottimo modo per fermare il tempo: vuoi mettere l’emozione di aprire una scatola di latta o sfogliare un album e rivedere, all’improvviso, un momento della nostra esistenza che nemmeno più ricordavamo?… quel tuffo al cuore, nel bene o nel male, è un’emozione che val la pena di provare. E di conservare.

Data di pubblicazione: dicembre 2016
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