Di Arles, Osservatorio Digitale se n’è occupato a più riprese (l’ultimo in ordine di tempo è  il pezzo “Arles senza i Rencontres”, uscito a febbraio 2016), ma continuare a parlarne non è peccato, poiché questo piccolo paesino della Francia ogni estate dà vita ad uno dei pochi Festival in cui la fotografia è davvero al centro del mondo. Come sicuramente avrete capito sto parlando dei Rencontres de la Photographie, che in questa edizione si presentano particolarmente “incisivi”… a cominciare dai manifesti.

Quest’anno saranno 137 gli artisti esposti, così recita il quadro del programma ufficiale, ma la cifra sarà sicuramente decuplicata, come accade a ogni edizione, dalle centinaia di fotografi presenti nel circuito Off del Festival (che di “off” ha solo il nome, poiché ospita spesso nomi di riguardo, che sono esposti nelle varie gallerie e nei diversi spazi  sia dentro la cittadina che negli incantevoli d’intorni).

Per il secondo anno consecutivo la direzione del Festival è curata da Sam Stourdzé, che questa volta punta a una sorta di rottura nella continuità, a partire dal manifesto, che è una foto al rovescio.

La vera rottura non è però data solo dalle locandine, ma dalla scelta di aggiungere luoghi espositivi: ben cinque nuovi spazi ad Arles e, per la prima volta, tre nuovi spazi fuori, ossia ad Avignone, Nimes e Marsiglia.

Questo è un tentativo di aggiungere respiro a un Festival che di respiro ne aveva già molto, promuovendo un maggior coinvolgimento dell’intera area della regione PACA, ossia cercando di continuare a puntare su un mercato internazionale ma al contempo  valorizzando anche il territorio locale.

Ho parlato di una rottura nella continuità e infatti la tradizione è data dal raggruppamento  di alcune esposizioni sotto una sequenze tematica.

Le mostre saranno una quarantina, con un interessantissimo panorama sulla street photography  rappresentata da veri e propri tesori riportati alla luce: come il lavoro di Sid Grossmann - una meteora nell’America oppressa dal Maccartismo di cui fu una delle tante vittime -  o l’esposizione dedicata a Peter Mitchell ed ospitata negli spazi della Grande Halle, ad Arles, fino al 25 settembre.

I Rencontres non sarebbero i Rencontres se non presentassero anche delle novità assolute, e sto parlando dell’irlandese Eamon Doyle, la cui esposizione si trova all’Espace Van Gogh; “End” è il titolo della mostra ed è il punto d’arrivo di una trilogia inizialmente raggruppata e presentata al pubblico in un libro ed ora esposta per la prima volta in modo esaustivo in una scenografia che oscilla fra esposizione e performance artistica.

O ancora, fra le novità, il lavoro del californiano Christian Marclay (che è un mix fra fotografie e video) merita sicuramente una visita. Marclay è ospitato al Parc des Ateliers. Secondo me il suo lavoro va visto per l’originalità con cui ha montato alla maniera di flip book, tante foto di piccoli rifiuti lasciati sui marciapiedi, dando loro una nuova vita, restituendoceli in maniera originalmente poetica.

Interessantissimo anche il dialogo generazionale rappresentato dai lavori di Garry Winogrand e di Ethan Levitas.

Il filone “Africa Pop” è dedicato alla effervescente creatività africana, mentre un’attenzione particolare al territorio si trova nell’interessante lavoro sulla Camargue, che il grande pubblico conosce per gli affascinanti ampi spazi  paludosi e selvaggi ma che qui è proposto nella veste meno conosciuta di paesaggio prediletto per i film western. E il filone western lo si ritrova anche nelle foto di Bernard Plossu, (“Western Colors” alla sala Henri-Comte), un western rivisitato a colori, impregnato di un sogno americano proposto sotto una luce estremamente personale.

La fotografia, fra le altre cose, è anche documentazione e memoria: ce lo ricorda l’esposizione “Operazione Condor” in cui è presentato il grande lavoro di documentazione portato avanti  da Joao Pina per denunciare al mondo il piano segreto di eliminazione degli oppositori politici portato avanti, a partire dal 1975 fino al 1980, dai dittatori di sei Stati Latino-Americani.

Il filone che va sotto il titolo di “Après la guerre” (il dopoguerra) raggruppa quattro esposizioni che si interrogano sulle conseguenze dei conflitti: Yann Morvan espone dieci anni di lavoro sui campi di battaglia; Alexandre Guirkinger ci porta per mano sulla linea Maginot; Don McCullin espone invece i suoi mitici scatti realizzati nelle zone di pace, e infine una collettiva di più artisti propone una carrellata mediatica di un gran numero di immagini dell’11 settembre 2001.

Il mondo viene sempre ai Rencontres, non solo in termini di visitatori giunti da ogni dove ma anche in termini di lavori esposti, e quest’anno non fa eccezione: troviamo l’Etiopia di Hans Silvester, l’Amazzonia di Yann Gross, il Sudan di Dominique Nahr e il Giappone di William Klein ed Eiko Hosoe.

Sorprendente è l’omaggio fatto alla rivista satirica Hara-Kiri (fra i cui fondatori e collaboratori ricordiamo personaggi come Georges Wolinski, vittima dell’attentato a Charlie Hebdo). La rivista è famosa per le vignette satiriche e irriverenti, ma qui viene dato risalto alla parte più prettamente fotografica, con immagini che evocano un surrealismo quotidiano e una poetica dell’assurdo nell’ambito di una società francese all’epoca in pieno mutamento.

Last but not least, l’istallazione di Maurizio Cattelan e Pierpaolo Ferrari, creatori della rivista “Toilet Paper “ e dei manifesti di questa edizione 2016.

Il Festival della fotografia di Arles è iniziato il 4 luglio e terminerà il 25 settembre: praticamente attraversa tutto il periodo estivo, quindi, se amata la fotografia e ancora  non avete deciso dove andare in vacanza, fateci un pensierino e… buon viaggio e buona luce per la vostra estate.

Data di pubblicazione: luglio 2016
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