Alberto MaccagnoIl primissimo incontro con Alberto Maccagno e le sue immagini è avvenuto sulla rete dove alcuni scatti facevano capolino richiamando intensamente la mia attenzione al punto di perdermi poi in quegli scatti e ritornandovi spesso col pensiero: sì perché c’ero stato in alcuni di quei luoghi ma non ricordo di aver “visto” quello che è riuscito a vederci lui. L’occasione per ascoltare le sue storie di viaggio l’ho avuto durante lo scorso Stand Out, una giornata di studio e scambi culturali voluta da Phase One a Milano in collaborazione con un suo distributore italiano, Mafer, dove Maccagno ha tenuto una sorta di Lectio magistralis che è stata molto apprezzata e applaudita anche dai molti colleghi presenti alcuni stupiti proprio dall’uso “innaturale” che Alberto sembra fare di questo tipo di fotocamere. Abituati alle immagini patinate e super elaborate che si vedono nei servizi di moda realizzati con le fotocamere a medio formato non è sembrato vero alla platea presente di vedersi investire da colori che raccontavano posti del mondo e dell’anima, catturati sapientemente e con pazienza dal nostro eroe. Ma come, uno va in giro per il mondo a fare foto di panorama e di viaggio con un’attrezzatura simile? Ma siamo pazzi?
A queste e altre domande ci risponderà direttamente lui nell’intervista che segue. Godiamocela.

Islanda ©Alberto Maccagno

osservatoriodigitale: Eccoci qui Alberto, alla fine ce l’abbiamo fatta a trovare il tempo per parlare un po’ di te e del tuo lavoro che sembra quello di un paesaggista ma poi rivela aspetti assolutamente peculiari del tuo lavoro. Vogliamo sapere come e perché.

Alberto Maccagno: Guarda è molto semplice perché parte tutto dal mio amore per la fotografia di paesaggio ed è stato quello a generare la spinta che mi ha portato alla professione di fotografo. Ho sempre ammirato molto coloro che riuscivano a realizzare scatti così belli da sembrare perfetti, a volte addirittura finti, al punto che mi sono ripromesso di provare a realizzarli anch’io. Se parliamo in termini assoluti io sono quasi ancora un principiante visto che è meno di vent’anni che lavoro seriamente con la fotografia. Ma credo di aver fatto tutto il percorso, partendo da una compatita fino ad arrivare oggi alla medio formato.

od: Bè, non male direi. non è proprio un percorso così comune…

AM: Per me è stata una questione basata sulle mie esigenze sempre crescenti di ottenere immagini che fossero già molto buone subito dopo lo scatto, senza bisogno di tanta post-produzione perché se ci metti tanto lavoro una volta a casa allora vuol dire o che la foto era sbagliata oppure che stai creando qualcosa di sintetico, di finto e lo stai facendo con tutta una serie di strumenti che oggi abbiamo tutti a disposizione, sottoforma di software più o meno complessi. Mi capita spesso di guardare delle immagini e capire al volo come sono state realizzate e addirittura potrei dire con quale programma: basta dare un’occhiata su internet per vedere che le foto di viaggio o i panorami tendono a essere o sembrare tutti uguali.

od: Ne parliamo proprio anche nell’editoriale di questo numero, a proposito di alcune considerazioni che fa Roberto Cotroneo nel suo libro “Lo sguardo rovesciato” sulle immagini di panorama dove ormai i cieli sono tutti super colorati e “pompati” attraverso i filtri che Instagram, per citarne uno, mette a disposizione dei suoi iscritti. Ci aspetta un futuro ricco di foto di piccole dimensioni e molto ritoccate, dei falsi, dei tarocchi come li chiamo io.

AM: Speriamo di no anche se il pericolo è reale visto l’enorme numero di fotografie che vengono generate e  condivise quotidianamente con i telefoni. È stata proprio l’esigenza di avere di più, come dicevo prima, che mi ha spinto prima a passare a una fotocamera con il sensore APS-C e poi alla full frame, una Nikon D70 che mi ha detto molte soddisfazioni proprio perché riuscivo, ad ogni passaggio di formato, a ottenere di più in termini di colori, sensibilità, latitudine di posa, tutti aspetti che nella foto di paesaggio sono molto rilevanti.

Poi all’origine c’è la mia forte passione per la natura che da sempre mi ha portato verso di essa anche con il lavoro che facevo prima di fare il fotografo. Un tempo studiavo e lavoravo le pietre perché mi davano la sensazione di stare a contatto con la storia del mondo e da li ho cominciato a studiarle e a trovare il modo migliore di lavorarle per ricavarne ciò che desideravo. Un’esperienza che si è poi rivelata molto utile anche con la fotografia ma, di questo, se vorrai, ne parleremo dopo.

Myanmar ©Alberto Maccagno

od: Certo. Ma adesso continuiamo pure con il racconto che riguarda i paesaggi e la natura.

AM: Come dicevo prima mi sono sempre piaciute le fotografie nelle quali la natura, i paesaggi del mondo erano ritratti in modo vero anche se con tecniche complesse. Il mio fine principale era quello di riuscire riprodurre quelle immagini senza dover ricorrere agli “effetti speciali”: una volta, in America, scoprii le fotografie di Michael Fatali e ne restai letteralmente folgorato. Ad un primo sguardo sembravano addirittura immagini finte talmente erano belle ma studiandole con più attenzione era possibile vedere che tutto ciò che appariva nella foto era reale, bastava solo trovare il modo giusto per catturarlo. Fu in quel momento che capii anche i limiti della mia fotocamera: il controllo sui tempi, sulle aperture erano limitati o persino impossibili quindi cominciai la mia ricerca verso qualcosa di più evoluto. Mi facevo una quantità di domande davvero incredibile perché volevo capire e c’erano solo due modi per farlo: studiare e sperimentare, e così mi misi allì’opera. Certo i risultati non vennero subito ma solo col tempo però oggi ritengo di essere riuscito a raggiungere lo scopo che mi ero prefisso anche se  continuo ogni giorno a imparare qualcosa, e lo posso fare da chiunque. Una volta una guida africana mi disse di portare rispetto per ciò che la vita offre e prima o poi ne sarei stato ripagato. Ho sempre applicato questo concetto anche nei confronti della natura, quando mi appresto a fare degli scatti e devo dire che è stato davvero così.

Un altro passo avanti lo feci quando capii che scattare in RAW mi avrebbe dato delle possibilità che prima non potevo nemmeno immaginare ed ecco che all’improvviso le mie immagini scattate a pieno formato fecero un ulteriore balzo in avanti, sempre a livello qualitativo anche se immediatamente capii che la foto più che post prodotta va pensata, bisogna lavorare sulla pre-produzione dello scatto.

Fatali in un’intervista che rilasciò disse una cosa che mi colpì molto: “l’arma vincente per riuscire è la perseveranza”. Da allora anche il mio approccio è cambiato, ho cominciato a “perseverare”, a immaginare l’impossibile e cercare di renderlo possibile, ho iniziato anche a creare un legame che legasse una storia vera allo scatto che volevo realizzare. In quel momento sono cambiate molte cose, ho assunto un atteggiamento diverso anche nei confronti della post-produzione, scegliendo di non esagerare mai, di non superare mai il limite del reale, quando la fotografia sconfina nel finto. Lo sviluppo dev’essere qualcosa di veloce che implica solo pochi ritocchi se no credo che l’immagine si sbagliata in origine. La fotografia è un’arte e come tale va rispettata è per questo motivo che mi piace lavorare sul vero, su ciò che è possibile vedere realmente da parte di tutti. Ho cominciato a studiare quelli che erano i miei maestri e modelli di fotografo cercando di ripercorrere le loro strade fino a quando ho trovato la mia, quella che esprime fotograficamente la mia personalità e il mio pensiero interiore. Sono rimasto attaccato alla fotografia di paesaggio perché sento di esservi immerso perennemente: siamo sempre circondati da tutta una serie di immagini che costituiscono il mondo, basta fermarsi a guardarle, farsi coinvolgere da esse.

Bangladesh ©Alberto Maccagno

od: Storie come quella del Bangladesh o di Myanmar o, ancora dell’Alaska?

AM: Sì esattamente. In Bangladesh sono andato perché volevo conoscere e far conoscere quel popolo, documentarne il modo di vivere e il paesaggio. All’inizio ero un po’ sorpreso e non voglio dire deluso perché era tutto un po’ piatto con grandi distese d’acqua. Con il tempo però ho cominciato a vedere al di là della semplice apparenza, a capire il ritmo di vita della gente locale, la storia che si muove dietro la vita di tutti i giorni. Credo sia proprio questa la caratteristica che definisce il mio lavoro e la mia passione quando mi trovo i qualche luogo del mondo, è la pazienza e la voglia di aspettare e capire che cosa mi accade intorno, quello che mi differenzia dal turista che invece passa velocemente, scatta le foto a quello che trova e se ne va. Io cerco sempre di entrare in sintonia con la gente del posto in cui mi trovo, mi metto a guardare tutto ciò che mi circonda, con umiltà liberandomi delle sovrastrutture che inevitabilmente la nostra civiltà occidentale ci impone. Quando capiscono che tu sei li per mescolarti a loro, non sei il solito turista “arraffone” e disinteressato allora cominciano a interagire e finiscono col darti davvero molto: questo capita ovunque non solo tra i bengalesi. Mi ricordo che anche in Namibia, allo stesso modo, mi sono ritrovato a giocare con sabbia e pezzi di legno insieme a dei ragazzini: un’ora di vita che mi resterà dentro in eterno. In ogni viaggio cerco di togliermi dalle strade tradizionali per cercare di vedere e trovare quello che c’è di vero in un luogo.

od: Ma non è pericoloso?

AM: Quando viaggio cerco sempre una guida locale prima di arrivare: oggi in internet si può davvero pianificare tutto, anche trovare chi ti accompagna in giro dove andrai. Non sempre magari trovi la persona ideale ma ti aiuta sempre a lasciare i luoghi “commerciali” e turistici per addentrarti nelle aree di vita vera del luogo.

Cambogia ©Alberto Maccagno

od: Mi sembra di capire che i tuoi siano dei veri e propri lavori di reportage nascosti dietro il gradevolissimo aspetto della fotografia di paesaggio.

AM: Come dicevo cerco sempre di raccontare una storia vera attraverso le mie fotografie. A proposito di guide mi è capitato, in Cambogia, che mi accompagnasse su un’isola dove, oltre ai turisti e a poche attrazioni sembrava non esserci nulla di interessante da fotografare. Guardandomi in giro mi sembrava impossibile che gli abitanti potessero vivere in un posto così finto. Allora dissi alla mia guida di tornare sulla terra ferma e tornare a prendermi alla sera. Dopo le sue ovvie rimostranze così fece lasciandomi a girovagare per l’isola anche dopo che tutti i turisti se n’erano andati. Di colpo mi trovai in un grande prato dove c’erano una vecchia casa coloniale, una mucca che pascolava e un campo da calcio. Verso sera l’area si animò improvvisamente con l’arrivo della popolazione del luogo e riuscii a scattare alcune foto davvero sorprendenti.

Per quanto riguarda il pericolo di cui mi chiedevi prima può darsi che a volte lo abbia sfiorato senza accorgermene perché quando cerchi di integrarti con la quotidianità di un luogo puoi capitare anche in qualche posto che potrebbe essere sbagliato ma questo può capitare anche nella tua città, è la vita.

od: Verrebbe naturale chiederti qualcosa a proposito dei budget ai quali devi ricorrere durante i tuoi viaggi…

AM: Nessun problema. È vero che viaggiare ha un costo ma dipende sempre da come lo fai. Se viaggi da turista ogni cosa ha un prezzo mentre se vai in un posto qualsiasi per immergerti nella vita della popolazione locale, riesci a farlo davvero con pochi mezzi. La pianificazione è basilare e va fatta attentamente perciò è importante pensare a tutto con largo anticipo e in modo preciso. Io viaggio quasi sempre con mia moglie che è anche la mia assistente: prediligiamo sempre l’aspetto professionale a quello personale, anteponendo a tutte le necessità private lo scopo per il quale ci si trova li, cioè realizzare le fotografie della nostra storia che ci ha portato in quel luogo. Viaggio molto leggero a livello di abbigliamento perché tutto lo spazio e il peso possibile lo dedico all’attrezzatura, perché mi piace portarmi tutto ciò di cui potrei aver bisogno, così da risolvere da solo qualsiasi problema possa sorgere quando sono in viaggio.

La fotografia è il mio sogno così vi ripongo tutte le mie forze, faccio tutto al meglio delle mie possibilità e, se mi metto in testa qualcosa, riesco sempre a realizzarlo: la prima forza che mi guida è la passione.

Yellowstone ©Alberto Maccagno

od: È assolutamente ammirevole quello che dici e questo ci porta alle foto fatte in medio formato, una scelta controcorrente?

AM: No, assolutamente, anzi una scelta dettata dalla mia passione per la ricerca della perfezione, dei dettagli, dal mio innato desiderio di vedere le mie foto stampate in grande formato ed ecco perché sono giunto a fare fotografie con sistemi a medio formato che mi sanno ridare esattamente le immagini che mi sono creato in testa. Anche in questo caso ci sono arrivato per gradi, comprandomi prima dei sistemi ricondizionati e poi arrivando all’ultimo modello di Phase One: se ci pensi non è una scelta anche economicamente bizzarra perché nel mondo delle 35mm ogni due anni circa il mercato ti propone un corpo nuovo, più performante che sei praticamente costretto ad acquistare mentre nel mondo del medio formato i sistemi durano molti più anni rendendo l’investimento addirittura più conveniente rispetto ai sistemi DSLR.

Certo, dal punto di vista tecnico, lavorare con un sistema così evoluto è difficile, soprattutto all’inizio per l’elevato livello tecnico con il quale ti confronti ma appena riesci a scoprirne i punti di forza non puoi più tornare indietro. Poi il resto lo fa la solita passione… Ricordi la fotografia delle mongolfiere che ho scattato a Myanmar (la buona vecchia Birmania che è la foto di copertina di questo numero, ndr)? Lo scatto è frutto di pazienza e, ancora una volta, perseveranza. Dopo dodici chilometri in bicicletta e percorsi prima dell’alba per trovare un posto buono per sistemarsi mi trovo in questo posto magico che piano piano si popola di fotografi da ogni parte del mondo. Non appena le prime mongolfiere si levano in volo stagliandosi contro l’orizzonte sento partire una raffica infinita di otturatori che, di li a poco, però smette. Tutti rimettono le loro macchine negli zaini e lasciano il posto con le loro foto. Io mi guardo intorno e penso a una foto che non c’è ma che potrebbe arrivare. È solo questione di tempo e di pazienza perché il sole continua a salire e le mongolfiere si moltiplicano fino a quando scatto l’immagine che avevo in mente e dico ok, adesso posso andarmene anche io perché la foto è fatta.

A volte incontro delle immagini che mi portano alle lacrime. Devi sapere attendere il momento, bisogna sapere aspettare.

od: Che cosa utilizzi per lo sviluppo dei tuoi file RAW?

AM: Da qualche anno utilizzo Capture One Pro ma non solo perché è di Phase One ma perché credo sia davvero lo strumento di conversione per eccellenza. Ho provato e utilizzato anche tutti gli altri ma, alla fine, rendono tutti le foto troppo uguali mentre Capture One ti lascia tutto lo spazio di azione che vuoi senza mai falsare il risultato finale che, per me, è davvero una caratteristica importante. Credo rappresenti proprio la parte finale ideale per concludere la grande ricerca che faccio dietro a ogni progetto che poi tutti possono vedere.

od: Dobbiamo fare un passo indietro e ritornare al tempo della… pietra.

AM: Con grande piacere. Prima di fare il fotografo professionista ho lavorato sempre nel mondo della pietra, nel senso che lavoravo il marmo e le pietre in genere. È stata e continua a essere una passione profonda che mi ha spinto a trovare un modo per unire i due mondi, pietra e fotografia. Così ho cominciato a pensare a qualcosa che potesse donare ancora più valore, visivamente parlando, alle mie fotografie. Così ho cominciato a studiare e a realizzare delle cornici in pietra per le fotografie che vendo, visto che oggi ci sono i mezzi tecnici per lavorare le pietre in modo preciso così da tagliarle anche a spessori che un tempo erano inimmaginabili. Così è nata l’idea della Natural Stone frame, la cornice in pietra che accompagna le mie stampe di grande formato, consegnate tutte in una speciale scatola di legno, anch’essa pensata per essere qualcosa di piacevole ancora prima di rivestire il ruolo protettivo dell’immagine contenuta.

Per descrivere l’entusiasmo che accompagna le parole di Alberto Maccagno, uno che dice “ il mondo è il mio studio” non mi resta che lasciarvi a una frase che rappresenta il suo pensiero profondo: “La passione per lo scatto unita a quella del viaggio sono diventate il mio modo personale per rallentare un mondo troppo frenetico e caotico in cui viviamo. La fotografia di paesaggio legata al racconto mi porta a osservare qualunque tipo di situazione che possa regalare emozioni: bellezza e semplicità sono ideali atemporali.

”Tutte le immagini sono © di Alberto Maccagno e tutti i diritti sono riservati.

Altre immagini e informazioni si possono trovare al sito www.albertomaccagno.com

Data di pubblicazione: luglio 2016
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