Vi ricordate il settimanale Il Mondo, di Mario Pannunzio? Se non lo ricordate o se non ne avete mai sentito parlare - magari per motivi anagrafici - mi permetto di suggerirvi di fare una ricerca su Internet: vi si aprirà un mondo (e scusate il gioco di parole). Vi dico questo perché giorni fa, al Museo del Louvre di via della Reginella, a Roma, si è conclusa la personale “Il mio mondo”, del fotografo Paolo Di Paolo.

La mostra, a cura di Giuseppe Casetti, era corredata da un bel catalogo con testi di Ermanno Rea, Bruce Weber e Silvia Di Paolo, la figlia. Paolo Di Paolo è stato il fotografo più pubblicato in assoluto sul settimanale Il Mondo ed è una testimonianza vivente di un periodo storico, quello del Novecento, che ormai non c’è più, ma di cui per certi versi, a volte, si sente la mancanza.

Mi sono precipitata a vedere la mostra all’ultimo momento, ossia l’ultimo giorno di apertura, e ne è valsa la pena non solo per le foto che ho potuto vedere con i miei occhi, ma anche perché ho avuto la fortuna di incontrare Paolo Di Paolo in persona: lui, classe 1925, era lì, con un bicchiere di bianco e gli occhi vispi, come vispi sono ancora il suo animo e la sua voglia di raccontare.

Non so se a voi sia mai capitato di guardare la foto di un grande maestro della fotografia o di un importante fotografo documentarista e di domandarvi come mai l’abbia scattata proprio così, cosa pensava quando ha deciso l’inquadratura, che cosa è accaduto subito prima o subito dopo.

A me capita spesso di pormi queste domande, soprattutto con foto di grandi firme che ormai non ci sono più e quindi capirete bene la mia contentezza quando, trovandomi davanti Paolo Di Paolo, ho potuto ascoltare dalla sua voce come erano nate alcune foto che avevo sotto gli occhi.

Paolo Di Paolo, fra le altre cose, ha fatto con Pasolini il viaggio in giro per l’Italia, quello che poi ha prodotto La lunga strada di sabbia ed io, che per motivi sia personali che di lavoro amo molto Pasolini, non ho potuto fare a meno di farmi raccontare quelle che sono fra le fotografie più conosciute di Pasolini (alcune posso tranquillamente definirle vere e proprie icone, senza tema di smentita). Inoltre, fra un discorso e l’altro, è venuto fuori che Di Paolo era molto amico di Oriana Fallaci e non ho perso occasione di farmi dire qualcosa sulla loro amicizia e su alcune foto che ritraggono una Fallaci inedita: sorridente, solare, allegra, oserei dire felice.

Quella che segue non è un’intervista, è piuttosto una bellissima conversazione di fotografia con uno dei nostri più importanti fotografi della scuola di Cartier-Bresson.

od: Questa foto è una delle più conosciute fra quelle che ritraggono Pasolini; me la racconta, per favore?

Paolo Di Paolo: Stavo facendo un servizio a Pasolini, eravamo solo lui ed io  e d’un tratto  ho visto arrivare questo ragazzo e mi son subito detto: qui si sta creando una situazione unica; e in questi casi o la foto o l’azzecchi, o non la azzecchi e non fai nulla. Io avevo un’ottica 50mm, ho capito subito qual era la situazione: mi interessava questo ambiente, lui che stava lì, l’altro che stava passando… pensa che ho fatto in tempo a montare un 21mm e mi sono predisposto così, senza dar sospetto al ragazzo che arrivava e dicendomi fra me e me: se questo passa è la fine del mondo; e infatti io ho continuato a fotografare Pasolini, ma intanto aspettavo.

od:  Il ragazzo e Pasolini non si conoscevano?

Paolo Di Paolo: Sì, si conoscevano, evidentemente si conoscevano, però questo è passato facendo finta di nulla, molto guardingo; io non gli ho dato importanza perché facevo finta di fotografare Pasolini e ad un certo punto, quando ho capito che s’era creata la situazione, col gasometro più in là, il cielo, lui, tutto quanto insomma… click, ho scattato: una foto, questa.

od: Questa è un’altra foto molto conosciuta di Pasolini.

Paolo Di Paolo: Sì, questa l’avevo fatta il giorno stesso della foto del gasometro; qui Pasolini è alla tomba di Gramsci.

Mentre mi diceva questa frase laconica riguardo a questa immagine-icona, ho pensato, fra me e me: in una frase ha liquidato una foto che io avrei dato non so cosa per aver potuto scattare… così va la vita (e la storia della fotografia).

od: E questa? Ma è Oriana Fallaci?!

Paolo Di Paolo: Sì, io e lei eravamo veramente amici, quando andavo a Milano ci vedevamo sempre; e questa è Oriana a Venezia, nel 1962.

od: Lei andava d’accordo con la Fallaci?

Paolo Di Paolo: Sì, io sì, per una ragione soltanto: io le presentai un amico, un giorno, e lei s‘innamorò subito; una cosa molto bella. Era il 1962, stavamo a Venezia e questa foto l’ho fatta per divertimento, in amicizia. Lei mi disse: “Mi dispiace, oggi ti va male, non ci sono dive e allora adesso ti faccio io la diva” e si è messa lì e ha cominciato a posare; ho scattato 12 foto, mai pubblicate, perché sarebbe stato irriverente: lei  ci teneva a questo cliché di donna incavolata. Comunque, una mattina, nella hall dell’Excelsior, al Lido, io stavo con un giornalista (il nome non lo dico), direttore di una rivista di cinema, un bel ragazzo davvero, elegante, garbato; noi stavamo lì a chiacchierare e sullo sfondo compare Lucherini, che arriva con una specie di monaca accanto, mi chiama e mi dice: “Vieni qua, mi devi fare un favore: mi devi fare un po’ di fotografie a questa qua”. “Perché?”, gli domando io.  E lui mi dice: “Perché dobbiamo fare un film, fammi 'sta cortesia”. E io rispondo: “Vabbè”. (E la tipa era niente meno che Betsy Blair, interprete di il Calle Mayor).

Poi compare anche Oriana, ci salutiamo, le presento questo mio amico e lei se lo guarda subito, assatanata; mentre io concordavo il reportage con Betsy Blair, loro due si son messi da una parte a chiacchierare fitti-fitti; insomma, l’indomani sera poi siamo usciti insieme io, Oriana, questo giornalista e Betsy Blair (io e Betsy dopo il reportage eravamo diventati molto amici); mentre questi  due si erano proprio fidanzati di brutto (e quindi io e Oriana eravamo amici anche per questo fatto, insomma). Che succede però? Succede che c’era una press agent, una rompiscatole pazzesca, che era amica della moglie di questo mio amico giornalista, e che fa questa? Lo dice alla moglie del mio amico; le dice: “Guarda che tuo marito se la sta spassando con Oriana Fallaci“. E così, una sera, come al solito eravamo in trattoria io, questo qui e Oriana, e ad un certo punto alla porta si presenta la moglie, che tra l’altro era una donna molto bella e giovane; e io mi dico: “Qui succede l’ira di Dio” e lui invece capisce subito, si alza, le  va incontro, la moglie non gli dice nulla e si comporta con gran  signorilità. Ad ogni modo il mio amico giornalista ci dice: “Scusate, io devo andare, devo partire per Roma”, e se ne va. E così è finita la storia tra lui e Oriana.  Comunque perciò io le avevo fatto quelle foto, perché in quei giorni lei era felice. Va beh, è una bella storia.

od: Sì, è una bella storia.

Poi, sfogliando il catalogo, vede la foto di un bimbo vestito di stracci, lo fissa, ancora commosso nonostante sia passato più di mezzo secolo da quello scatto e mi dice: più povero di questo non esiste nessuno, guarda: non c’è un pezzo che non sia stracciato; e quando l’ho visto mi sono detto: “è un documento, lo devo fare per forza” . Il bimbo, quando ha capito che stavo per fotografarlo ed era indifeso, non è che poteva scappare, perché era pure un po’ infelice, si vede anche dalla posa, con la gamba storta, un po’ così. Comunque, dicevo, quando ha capito che lo volevo fotografare si è subito raddrizzato sulla schiena, ha assunto un atteggiamento di dignità; mi ha fatto una pena, come se dicesse: “va bene, tu mi fotografi, io sono povero, sono così, però eccomi qua”.

od: C’è una foto che avrebbe voluto fare e che non è riuscito a fare o qualcuno che avrebbe voluto fotografare e non ha potuto fotografare o che ha rimpianto di non aver fotografato?

Paolo Di Paolo: No.

Poi mi indica una foto sul muro, una foto che ritrae un violinista quasi accasciato su una panchina.

Paolo Di Paolo: Ecco, un’altra foto che mi ha fatto tristezza: quel musicista, a Lerici, durante il viaggio con Pasolini; quello è uno che suona nei ristoranti, dopo che ha suonato a mezzogiorno che fa fino alla sera?  Si mette in un giardinetto e… guardalo lì. Anche quella  foto, che fai? Non la fai? Ecco, non c’è una foto che avrei voluto fare e non  ho fatto.

od: Guardando le sue foto e riflettendo, mi viene in mente che all’epoca comunque  c’era l’influenza di Cartier-Bresson

Paolo Di Paolo: Indubbiamente, alcune mie foto sono da Cartier Bresson.

od: Infatti lei mi ricorda Cartier Bresson, però a dirle così mi sembra di offenderla, nel senso che lei è lei,  Cartier-Bresson è Cartier-Bresson, non so come dire. C’è un richiamo all’epoca, ecco.

Paolo Di Paolo: No, ma è giusto quello che dice: noi ci siamo tutti ispirati a Cartier-Bresson, in alcune cose lo abbiamo anche superato, ma alcuni tagli sono alla Bresson, proprio come tecnica, però, appunto, per fare questo bisogna conoscere, bisogna sapere che, per esempio,  ci vuol un 28mm, un grandangolo che esaspera i primi piani.

Mentre mi parla fa altri due passi all’interno della galleria e si ferma davanti ad una foto di una donna con un mazzo di fiori in mano. Un’altra icona di un’epoca, quella in cui l’impegno politico era sentito, forte, vivo, talmente vivo che ai funerali dei grandi uomini politici faceva accorrere le masse. E anche i fotografi.

Paolo Di Paolo. Questa è una foto del funerale di Togliatti: una donna così addolorata, con i fiori poveri in mano. Io ero in vacanza, nessuno aveva ordinato questo reportage, ma io sono venuto lo stesso, espressamente per documentare: son foto che bisognava fare.

È vero, bisognava documentare… e Paolo Di Paolo lo ha fatto magistralmente. Dopo questo incontro mi sento di dire: Grazie Paolo, tu non sei il Cartier-Bresson italiano, tu sei tu e vai benissimo così.

Data di pubblicazione: maggio 2016
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