Camilla Ferrari per Osservatorio DigitaleIl nostro viaggio parte da molto lontano, a quasi diecimila chilometri dall’Italia: Phnom Penh, la grande capitale cambogiana. Dopo giorni passati nei villaggi della campagna immersi nella natura, risuonavano ancora nelle mie orecchie le risate dei bambini e l'abbaiare dei cani randagi, che correvano nel fango e nella polvere della strada. Phnom Penh non era nulla di tutto questo: in quel momento la capitale era, per me, profondo caos, disordine, afa e profumi forti. Era l'urlare dei venditori ambulanti e il vociare dei turisti confusi sulla direzione da prendere, era l’urlo dei clacson delle macchine e lo sfrecciare dei motorini. Potete immaginare quanto fossi frastornata in quel momento, appena uscita dal mio hotel, completamente immersa in quella frenesia, mi sono dovuta prendere del tempo per capire come avrei voluto fotografare quel luogo così confuso e così diverso da tutto quello che fino a lì avevo visto della Cambogia.

Dopo aver camminato a lungo ed esplorato alcuni mercati, ho raggiunto il più importante punto di attrazione di Phnom Penh: l'imponente Palazzo Reale. Fotograficamente parlando non mi aveva entusiasmato, per cui dopo averlo visitato velocemente mi sono rilassata al tramonto nella piazza antistante. È stato allora che ho scattato questa fotografia.

Seduta lì al tramonto ho realizzato che, nonostante l'imponenza del Palazzo e il suo stagliarsi in quell’enorme spazio, per me non era l'edificio il vero protagonista di quel luogo. Era la vita delle stradine circostanti, del giardino e dei marciapiedi, lo sfrecciare delle biciclette e il chiacchierio delle persone. Ad una prima rapida occhiata, poteva sembrare che non ci fosse nulla di speciale da fotografare in quella piazza, ma poi il veloce abbassarsi del sole e i cambiamenti di luce hanno iniziato a creare giochi di ombre e chiaroscuri meravigliosi ed estremamente interessanti, che accarezzavano i movimenti dei passanti, dei piccoli venditori locali agli angoli della strada, i profili degli edifici. E, improvvisamente, un gruppo di monaci.

Monaci buddisti al tramonto, Phnom Penh - ©Camilla Ferrari 2015

Mi sono seduta sull'erba a osservare ciò che stava succedendo: i monaci chiacchieravano al tramonto, il colore dei loro abiti era uguale a quello del cielo e richiamava l'oro del palazzo che faceva loro da sfondo. Ho iniziato a scattare, ma mancava qualcosa... Le forme non erano armoniose, le fotografie risultavano caotiche.

Qualcosa non andava, ma allo stesso tempo non riuscivo a staccare gli occhi da loro, perché ero sicura che la foto che volevo scattare era là da qualche parte... Sono rimasta seduta ancora un po' e ho cominciato a portare la macchina fotografica sempre più in basso, e più mi abbassavo e più le geometrie mi convincevano finché ho notato il palo giallo dietro di loro e ho deciso di inserirlo come se fosse un quinto monaco nel gruppo. Il tramonto è un po’ una maledizione, è il momento della giornata che preferisco ma anche quello in cui si corre il rischio di realizzare fotografie banali; un tramonto è sempre affascinante, ma è proprio il suo fascino che rischia di sovrastare l'atmosfera del luogo che si sta cercando di rappresentare.

Non bisogna poi dimenticare anche l'aspetto tecnico su cui bisogna riflettere ogni volta che si scatta una fotografia, a prescindere dalle condizioni e dal momento della giornata. In questo caso ho deciso di sfruttare i colori e il leggero controluce a mio favore, per stagliare le figure umane nel cielo sia con le forme che con le tonalità calde. Inoltre sapevo che avrei voluto tutti i piani a fuoco, non solo perché altrimenti il palo giallo tra i monaci sarebbe stato sfuocato e si sarebbe persa l'illusione compositiva, ma anche perché volevo che il profilo del Palazzo dietro ai monaci fosse ben definita e dettagliata. Ho quindi chiuso molto il diaframma – allungando inevitabilmente il tempo di esposizione (ma non mi importava, i miei gomiti sono stati un ottimo cavalletto) – bassi ISO, mi sono mossa leggermente verso destra, sinistra, in alto e in basso per studiare meglio la composizione e... click! Questo è il risultato.

Il fatto di avere una macchina fotografica così leggera come la Fujifilm X100T (una macchina compatta mirrorless con sensore APS-C) mi ha permesso di muovermi agilmente nello spazio e trovare il punto di ripresa che mi interessava, cosa che la reflex non mi avrebbe permesso. Per fare la fotografia, infatti, mi sono ritrovata sdraiata per strada, a pancia in giù, la macchina in mano e i muscoli completamente contratti con gli sguardi attoniti dei passanti... Ma non importava, ho scattato. Subito dopo uno dei monaci (il secondo da destra, per essere precisi) mi ha notato in quella goffa posizione e ha iniziato a ridere divertito: si è avvicinato e mi ha chiesto se potevo insegnargli come scattare con la mia macchina fotografica perchè voleva fare una fotografia di gruppo ai suoi amici monaci... e me.

È stato un momento veramente emozionante e del tutto inaspettato. È stato strano, riguardando a casa le fotografie, trovare in sequenza la foto che io ho fatto a loro e subito dopo quella che loro hanno fatto a me. Non mi era mai capitato prima!

Data di pubblicazione: aprile 2016
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