Fabio BucciarelliQuesto incontro rappresenta una prima volta per osservatoriodigitale, il racconto professionale e umano di un professionista che racconta la guerra e, soprattutto, i suoi risvolti umani, in termini di sofferenza e umiliazione che i protagonisti involontari dei conflitti sono costretti a subire; ci parla del suo lavoro e delle sue molte iniziative Fabio Bucciarelli, giovane professionista italiano, che ormai ha già alle spalle anni e anni di esperienza sul campo: nel senso più proprio del termine. Le sue foto sono state pubblicate ovunque, dal Time al New York Times ma anche da settimanali italiani come L'Espresso e Vanity Fair, per citarne alcuni. È stato il primo a fotografare il cadavere di Gheddafi dentro una casa alle porte di Misurata, una foto che ha fatto anch'essa il giro del mondo insieme a quelle scattate in Siria, Macedonia e anche a L'Aquila, dopo il disastroso terremoto. Qui non troverete sue foto di conflitti o di città distrutte – di quelle c'è pieno il web – ma un racconto dolce-amaro al tempo stesso, fatto di persone che vivono una vera tragedia umana spesso incompresa ma al tempo stesso un grande sogno: quello di riapproppriarsi di una vita vera e, per quanto sarà mai possibile, in qualche modo serena. Fabio lavora da oltre cinque anni alla realizzazione di The Dream, un libro che racconta l'esodo di un nuovo popolo, il più grande che si è mosso dopo la fine del secondo conflitto mondiale: per questo ha lanciato anche un'iniziativa di crowdfunding di cui ci parlerà nel corso dell'intervista.
Chi l'avrebbe immaginato che la sua vita avrebbe preso questa direzione? Nemmeno lui che forse era attratto dalla fotografia come tantissimi giovani ma che guardava al suo futuro in un modo forse più tradizionale, con il suo impegno verso il raggiungimento di quella laurea in ingegneria a Torino che gli avrebbe permesso di lanciarsi nella vita professionale. E il traguardo lo raggiunge, eccome, al punto che poi si invola verso un master che lo porterà addirittura a lavorare in terra spagnola per un importante azienda nel settore automobilistico. Sogno che si realizza e vita "da grande" che inizia nel migliore dei modi fino al giorno in cui, però, si accende una luce, come un segnale di allerta, dentro che gli dice "non ci siamo, questa non è la vita che fa per te". Colpo di scena, Fabio vuole vedere il mondo e la vita ma lo vuole fare a modo suo con i suoi occhi e i suoi tempi, così prende con sé una reflex e parte verso Iran e Turchia: era il 2009, a sentirlo raccontare oggi le sue vicende non ci si meraviglierebbe se ci parlasse dei conflitti del sud-est asiatico degli anni 70. Alla fine la guerra è sempre e solo guerra.

Rifugiati del Bangladesh aspettano di essere rimpatriati vicino al porto di Bengasi. Dopo lo scoppio della guerra in Libia, migliaia di lavoratori stranieri si sono trovati bloccati e senza lavoro. Libia 2011 ©Fabio Bucciarelli/MeMo 2011

osservatoriodigitale: Impressiona molto l'idea di un ingegnere delle telecomunicazioni che fa l'inviato di guerra. Non dev'essere stata una transizione particolarmente semplice, soprattutto a livello umano.
Fabio Bucciarelli
: È vero. Come al solito la realtà va oltre l'immaginazione: avevo sognato di fare un lavoro creativo in ambito ingegneristico ma, nonostante avessi trovato l'opportunità di lavorare all'estero e le prospettive potevano anche essere buone, dopo un anno di lavoro capii che quel tipo di vita non faceva per me e cominciai a cullare il pensiero di fare qualcosa di diverso, che avesse a che fare con la fotografia e con il mondo, la gente. Alla fine presi la decisione e, prima di tutto, frequentai un workshop con Philip Blenkinsop, uno che si occupava di temi che mi stavano particolarmente a cuore.

od: In effetti il lavoro di Blankinsop è particolare, come il suo modo di fare e intendere la fotografia, molto legato al reportage, alla vita vissuta, quindi un ottimo maestro. E poi?
FB
: E poi via subito in viaggio verso Iran, Turchia nel 2009 per vedere che cosa stava succedendo, per cercare di imparare sul campo e capire le dinamiche di questi popoli afflitti da qualche tipo di oppressione. Accadde che, al mio rientro, ci fu il terremoto a L'Aquila e quindi mi recai subito li per documentare quello che accadeva. Una mia caratteristica è quella di cercare di stare il più vicino possibile all'azione, a ciò che avviene ed è per questo che mi piace fotografare con ottiche fisse come il 35mm, in modo tale che devi essere vicino all'avvenimento e "farlo sentire" anche a chi guarda le mie fotografie. In quell'occasione cominciai a collaborare con l'agenzia La Presse prima di entrarne a far parte come membro dello staff. Quando lavori in un'agenzia di breaking news ovviamente devi occuparti di tutto e così è stato: dal calcio alla politica alla moda ho passato un anno girando e fotografando quello che accadeva. È stata un'esperienza interessante e molto valida, in tutti i sensi e sotto molti aspetti, però ancora una volta ho capito che non era quella la strada da seguire, volevo lavorare nella fotografia ma in altri ambiti, volevo affrontare temi più profondi che abbracciassero situazioni di carattere sociale, possibilmente di natura umanitaria: così lascio l'agenzia e mi rimetto in strada, in viaggio.
Parto per la LIbia, con in tasca un accordo con Il Fatto Quotidiano, e vado a Misurata. Era il 2011, al tempo del primo intervento NATO. Sono subito stato colpito da una situazione che vedeva coinvolta una popolazione assolutamente estranea ai problemi della Libia; infatti c'erano decine di migliaia di cittadini bengalesi che si trovavano in Libia per lavoro che sono stati travolti dagli eventi e si sono trovati, loro malgrado, in un paese in guerra, in una specie di limbo senza la possibilità di tornare indietro. Sono stati i primi profughi ai quali ho dedicato molta attenzione e, proprio da quel lavoro è germogliato il seme di The Dream, il libro su cui sto lavornado da cinque anni e che parla di questo tema.

Gruppo di profughi Siriani aspettano di essere sbarcati al porto di Messina. Tra loro, una madre con il proprio bambino che, secondo la Croce Rossa, è affetto da gravi problemi alla pelle. Italia 2015 ©Fabio Bucciarelli/UNHCR

od: Infatti, parlacene un po' prima di proseguire con i tuoi racconti. So che c'è in atto anche una campagna di crowdfunding, una raccolta di fondi destinata a finanziare la pubblicazione di questo grande lavoro.
FB
: Sì è così. La sto portando avanti insieme a FotoEvidence di New York che sarà anche l'editore del libro. The Dream è un lavoro lungo cinque anni che copre tutto il periodo che parte dalle cosiddette primavere arabe, quelle rivolte che dal 2011 hanno portato alla fuga milioni di persone che cercavano rifugio dalle guerre in atto nei Paesi in cui vivevano: Libia, Siria, Egitto e Yemen in particolare ma che si sono estese a quasi tutti i paesi del nord Africa e del medio Oriente. Ovviamente in questi anni ho raccolto così tanto materiale che adesso mi dovrò dedicare a selezionare facendomi aiutare da alcuni editor di FotoEvidence, un lavoro che non ci prenderà diverso tempo e per il quale servono fondi che speriamo di reperire proprio dall'iniziativa di cui parlavi. Con The Dream voglio affrontare il tema delle popolazioni profughe in modo diverso dal solito, desidero parlarne da un punto di vista più onirico, che mescoli in sé l'aspetto del giornalismo di breaking news e mediatico con un racconto umano che prenda in considerazione il punto di vista del profugo in modo empatico, ne racconti l'esperienza parlando del suo status, attraverso varie fasi della realtà che ha vissuto; voglio che lo stereotipo proposto dai media venga annullato a favore di un racconto ricco di sentimenti e di carica umana. Ho voluto trascorrere anche due mesi come fotografo in Sicilia con l'UNHCR (l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) proprio per vivere in prima persona le difficoltà e le speranze di coloro che arrivavano dopo un viaggio allucinante a rischio della vita: ecco il sogno di cui parlo, la speranza di ritrovare una nuova vita, lontano dalla guerra che, spesso, vede coinvolte popolazioni che nulla hanno a che fare con il paese che ospita il conflitto. Sto parlando di qualcosa di immenso, di un nuovo popolo, quelli dei profughi, che va oltre i sette milioni e mezzo di persone, qualcosa di enorme che rappresenta il più grande esodo dopo la seconda guerra mondiale. Solo la Storia dirà che cosa ne sarà stato di questi milioni di persone che sono fuggite dalla guerra alla ricerca di pace e libertà.

Profughi Afghani in attesa di essere registrati all'esterno del campo di Moria, sull'isola greca di Lesbo. Migliaia di profughi, la maggior parte in arrivo dalla Siria e dall'Afghanistan attraversano ogni giorno il Mar Egeo dalla Turchia per giungere in Europa. Grecia 2015 ©Fabio Bucciarelli/MeMo

od: Com'è fare questo tipo di fotografia, che cosa ti spinge? E la paura?
FB
: alla base di tutto, come ti dicevo, c'è il desiderio di documentare il mondo, i popoli che lo vivono e le loro storie. È una spinta motivazionale fortissima che ti porta a superare il pensiero della paura e della guerra. Certo, è una sensazione temporanea che ti spinge e aiuta a partire perché quando sei li la paura ti prende eccome: guai se non avessi paura perché probabimente ti lanceresti nell'azione in modo incosciente e completamente illogico. Agli inizi, ricordo, lavoravo con i fotoreporter più esperti, che sapevano come e che cosa fare. Come in tutti i lavori è necessario fare molta gavetta perché quella sarà il tuo bagaglio di nozioni che ti aiuterà a lavorare e a portare a casa dei risultati. Oggi il lavoro di fotoreporter non è più "tutelato", se si può dire così, come un tempo: il giornalista o il fotografo sono visti spesso come dei bersagli dai gruppi armati che fomentano le rivolte; una volta si riusciva a ottenere il visto regolarmente per entrare nei paesi in cui erano in atto dei conflitti mentre oggi, spesso, si è costretti a entrare nelle zone di guerra in modo illegale, da clandestino, addirittura insieme ai guerriglieri o alle popolazioni in fuga da un paese all'altro.

od: Tu come fotoreporter spesso scrivi anche i testi degli articoli nei quali vengono pubblicate le tue fotografie. Ma hai pubblicato anche dei libri e esposto in molte mostre. Alcuni lavori ti sono valsi molti premi come ii Robert Capa Gold Medal, il World Press Photo, il World Report Award o, ancora, il Leica Oskar Barnack Award solo per citarne alcuni tra i più noti.
FB
: Sì, dopo l'esperienza in Libia e la pubblicazione della foto di Gheddafi (morto, ndr) mi hanno commissionato un libro su conflitto libico. Si chiama L'odore della guerra, edito da Aliberti, a cui ha fatto seguito anche una serie di mostre dallo stesso titolo. Da allora diversi miei lavori sono stati esposti in musei e galleria in Europa e negli Stati Uniti. Il nuovo libro segnerà anche un punto importante, un punto di riflessione sulla mia carriera

od: Quali sono stati i tuoi incarichi negli ultimi mesi?
FB
: Per la realizzazione di “The Dream”, dal 2011 ho viaggiato in diversi paesi, dalla Libia, alla Siria, la Turchia, l’Iraq, l’Egitto, dalla Tunisia al Rojava; gli ultimi cinque mesi, li ho trascorsi in Sicilia, nei Balcani, in Grecia, a Lesbo. Ora, prenderò qualche mese sabbatico per dedicarmi alla fase finale della realizzazione del libro.

Un uomo dalla Siria dorme su un treno che, attraverso la Macedonia, lo porta da Gevdelija, sul confine greco-macedone, fino a Tabanovce, sul confine serbo. Il viaggio dura circa 5 ore. Macedonia 2015 ©Fabio Bucciarelli/MeMo

od: Con chi lavori adesso?
FB
: Come freelance collaboro con diverse testate e agenzie, soprattutto francesi e americane. Inoltre con altri colleghi fotografi, l'anno scorso, abbiamo fondato MeMo, una cooperativa che si occupa di fotografia e tecnologia, lanciando MeMo Magazine.

od: Permettimi un'ultima domanda di carattere tecnico. Qual è la tua attrezzatura?
FB
: Come macchine principali utilizzo una Canon 5D Mark III e una Canon 5D Mark II con diverse ottiche fisse come il 24mm, il 35mm e il 50mm; ultimamente sto lavorando anche con una Leica M per la sua maneggevolezza. Negli ultimi mesi ho cominciato a lavorare con la Pinolina, un foro stenopeico, una macchina povera, una scatola con un buco davanti per far passare la luce che impressiona la pellicola. Fare foto con il foro stenopeico è un'attività che richiede riflessione, un feeling diverso dal normale modo di scattare ci vuole tempo e pazienza per ottenere una foto, ma una volta ottenuta, ha un sapore diverso da quelle scattate in digitale o con una macchina tradizionale. Il contorno delle foto è morbido e leggermente mosso e da all'immagine un chè e di onirico.

Questa intervista è solo un breve racconto della vita e del lavoro di Fabio Bucciarelli. Vi invitiamo a visitare il suo sito così da avere un panorama decisamente più completo di che cosa significhi fare il reporter di guerra, frequentare le zone di conflitto in ogni parte del mondo e  confrontarsi quotidianamente con la disperazione e la paura delle popolazioni coinvolte loro malgrado in situazioni devastanti.
Il nostro invito si estende alche a fare di più, a partecipare all'azione di crowdfunding in corso per la realizzazioe e la pubblicazione di The Dream, il nuovo libro di cui si è parlato.
Grazie ancora a Fabio, che da tempo non concede interviste, e l'augurio di leggere presto The Dream.

www.fabiobucciarelli.com

Per le donazioni al progetto The Dream: https://www.kickstarter.com/projects/2066133663/the-dream-by-fabio-bucciarelli-a-photo-book-about

Data di pubblicazione: novembre 2015
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