Guardato inizialmente con scetticismo da chi non aveva ancora percepito completamente la portata dei cambiamenti che la tecnologia digitale prometteva all'interno e all'esterno (Internet soprattutto) delle fotocamere, il microstock ha avuto bisogno di un certo tempo prima di affermarsi come modello largamente accettato sia dai fotografi che dai tradizionali acquirenti di immagini - grafici e redazioni. Di come è nato e di come funziona ne parliamo con Kelly Thompson, COO di iStockphoto, l'azienda che dopo aver inventato il concetto di microstock lo ha portato al successo fino a "meritarsi" l'acquisizione da parte di Getty Images.

Diceva un imprenditore seriale di successo: il segreto è quello di capire prima possibile se l'idea che hai avuto non funziona, e passare ad altro senza perderci altro tempo. Bruce Livingston, il fondatore di iStockphoto, ha scelto una strada leggermente diversa: accortosi che il meccanismo stabilito inizialmente per la sua iniziativa - un sito dove era possibile "scambiare" fotografie scaricando tante immagini in funzione di quante ne erano state precedentemente caricate - non portava da nessuna parte, in pochi mesi l'ha trasformata abbinando il modello delle agenzie royalty-free con quello dei micropagamenti. Era il 2001, e la fotografia digitale stava muovendo i suoi primi (e costosi) passi. Dieci anni e diversi imitatori dopo, iStockphoto è diventato il modo di vivere, professionalmente parlando, di un crescente numero di fotografi in tutto il mondo. Kelly Thompson ci spiega qual è stato secondo lui il fattore determinante di questo successo:
 
Kelly Thompson, COO di iStockphotoKelly Thompson: Si è trattata di una pura e semplice considerazione di natura economica. A un certo punto sono comparse sul mercato macchine fotografiche di qualità professionale dal costo più che accessibile: quando è stato possibile scattare immagini di grandi dimensioni a 300 dpi con attrezzature da 1.000 dollari tutta l'impalcatura dei prezzi su cui si reggeva il sistema di agenzia tradizionale è crollato. Noi ci siamo trovati al momento giusto con il servizio giusto: i fotografi più attenti alle novità, meno vincolati alla maniera tradizionale di lavorare, hanno provato il nostro modello e hanno verificato ben presto come i guadagni potessero essere anche consistenti.

od: Il basso costo delle immagini ha fatto gridare per lungo tempo alla "svendita" della professione fotografica.

KT: I fotografi che lavorano per il mercato stock sono sempre stati abituati a misurarsi in termini di ricavi conseguiti annualmente per ogni singola foto. La nostra strategia era quella di riuscire a far guadagnare loro le stesse cifre per ciascuna immagine ma in modo diverso: con un costo più basso che avrebbe portato a più vendite unitarie. All'epoca in tutto il Nordamerica il mercato dello stock era abbastanza limitato, sugli 80.000 buyer, e noi eravamo certi di poterlo allargare: il microstock avrebbe reso le immagini accessibili a una enorme quantità di piccole aziende, studi grafici e siti Web che magari fino a quel momento non conoscevano nemmeno la parola "stock" tradizionale perché al di fuori della portata dei loro budget. Diciamo che magari abbiamo sottostimato le potenzialità di crescita del mercato, che effettivamente è esploso oltre le nostre previsioni.

od: È un modello economico che in teoria dovrebbe essere valido per qualsiasi asset digitale nel quale il costo marginale - quello di ogni ulteriore unità prodotta successivamente alla prima - sia zero. Lo ha in parte confermato un altro marketplace come iTunes, ma a quanto pare discografici e produttori cinematografici sembrano non essere interessati a replicarlo. Qual è la vostra opinione in merito?

KT: Effettivamente mi diverte seguire questi due settori industriali perché continuano a muoversi in maniera diametralmente opposta alla nostra. È ormai chiaro a tutti che il consumatore richiede un modo semplice ed economico per accedere ai contenuti, e se nessuno glielo fornisce ecco che scatta il meccanismo del furto. Noi abbiamo dimostrato che quando proponi il contenuto al giusto prezzo ha più senso acquistarlo piuttosto che rubarlo. Certo, a volte mi chiedo dove ci troveremmo oggi se ci fosse stato qualche metodo per inserire dei vincoli anticopia - le famigerate protezioni DRM - anche all'interno delle immagini: probabilmente il nostro settore sarebbe differente da quello che è oggi.

od: I contenuti sono accessibili ma anche la tecnologia per produrli lo è, e la conseguenza è stata un forte aumento dell'offerta dal punto di vista quantitativo. Qual è stata la vostra esperienza dal lato qualitativo, invece?

KT: Possiamo suddividere i fotografi con cui entriamo in contatto in due categorie. Ci sono quelli che si limitano a caricare dieci immagini "tanto per provare", e lì la qualità è estremamente variabile. Poi ci sono quelli che si impegnano con costanza, e allora il discorso è diverso: magari i loro lavori iniziali vengono scartati, ma ogni rifiuto è motivato e questo feedback diventa uno strumento essenziale per migliorarsi. La costanza della pratica, importantissima, non può infatti prescindere dall'avere un contatto con qualcuno che ti dica cosa funziona nel tuo lavoro e cosa invece no. Continuare a scattare facendo tesoro dell'esperienza: è questo che forgia il bravo fotografo, e noi cerchiamo di dare una mano in questo senso.

od: Come avete organizzato questo processo di valutazione critica?

KT: Abbiamo scelto alcuni fotografi molto bravi interessati a lavorare con noi e li abbiamo trasformati in "image inspector": sono 150 in tutto il mondo, e il loro compito è quello di controllare ogni singola immagine caricata, per un totale di 65.000/70.000 alla settimana, con l'ausilio di alcune applicazioni che abbiamo appositamente realizzato perché possano lavorare con maggior efficienza. Questi ispettori verificano che le fotografie siano perfette dal punto di vista tecnico: devono essere messe a fuoco senza alcuna sbavatura, non devono presentare rumore né problemi di compressione JPEG, non devono contenere elementi problematici come loghi commerciali o persone riprese senza una apposita model release e così via. Le foto che superano questa fase vengono immediatamente rese disponibili sul sito; altrimenti, in caso di problema, l'ispettore può premere un pulsante per inviare automaticamente all'autore un messaggio che spiega il motivo del rifiuto, aggiunge dei collegamenti a nostri articoli che suggeriscono come risolvere l'inconveniente, eventualmente aggiungendo una nota personale. Se il difetto è eliminabile, il fotografo può provare a rimandare l'immagine dopo averlo risolto.

od: Oltre alla verifica tecnica avete anche qualche meccanismo per intervenire sulla varietà dei soggetti, magari evitando troppa ridondanza dove non serve e dirigere piuttosto la creatività dei singoli verso le tematiche più richieste?

KT: Abbiamo un elenco di soggetti da evitare perché troppo abusati, e di tanto in tanto ripuliamo gli archivi eliminando le immagini che dopo due o tre anni di disponibilità commerciale non hanno venduto. In generale possiamo dire che lasciamo che siano gli acquirenti a decidere, e ovviamente i fotografi più attenti sanno regolarsi di conseguenza.

od: Una volta prodotta una fotografia bisogna anche permettere che i clienti la trovino con facilità. Quanto incide una corretta assegnazione delle keyword sulle immagini?

KT: Tantissimo. Sappiamo che i fotografi non amano molto questo tipo di compito che pure è di loro responsabilità, e quindi abbiamo cercato di aggirare il potenziale problema con particolari algoritmi che classificano le parole chiave di ciascun file. In pratica seguiamo il comportamento degli utenti quando ricercano un termine, le modalità di interazione con i file suggeriti e le azioni intraprese a valle della ricerca: un sistema che ha dimostrato di funzionare anche perché possiamo lavorare su enormi volumi di dati prodotti da milioni di ricerche. Questo ranking è attivo da un paio d'anni e ci ha permesso di migliorare moltissimo la qualità e la pertinenza dei risultati restituiti ai visitatori; e ora che abbiamo inaugurato la funzione di ricerca localizzata potremo perfezionarci ulteriormente adeguandoci alle preferenze che abbiamo visto essere decisamente variabili a seconda della lingua e del Paese di provenienza degli utenti.

od: Una maggiore esposizione dei gusti locali può influire anche sulle strategie di produzione...

KT: È un fatto che alcuni fotografi impostino il loro lavoro per ottenere immagini dal look tipicamente nordamericano: è una scelta commerciale che scaturisce dal fatto che il 60% del nostro mercato è di lingua inglese, con tutto quello che ne consegue. Ora che i contenuti localizzati potranno godere di una superiore visibilità grazie ai nuovi algoritmi di ricerca ci aspettiamo che anche la produzione ne tragga vantaggio in termini di diversificazione.

od: E sempre a proposito di produzione, quali sono le attrezzature che riscontrano il maggior successo tra i vostri fotografi?

KT: Da quello che vediamo il brand che va per la maggiore è senz'altro Canon. In particolare il modello preferito pare essere la 5D Mark II, che al momento rappresenta un punto di equilibrio tra risoluzione, funzionalità, prezzo, maneggevolezza, rapidità di scatto e possibilità di riprendere video. Qualcuno usa le medio formato, e un paio di fortunati usano addirittura un sistema RED pur se al momento non trattiamo - ma stiamo pensando di farlo - materiale girato in risoluzioni 2K o 4K.

od: Il che introduce il tema del video. Come si stanno comportando i fotografi di fronte alla convergenza in corso?

KT: Inizialmente, quando ci siamo aperti anche al settore video, ricevevamo contributi che i videografi recuperavano dai loro b-roll inutilizzati: era un modo per valorizzare materiale che altrimenti sarebbe rimasto a prendere polvere su uno scaffale, ma ha aperto un nuovo mercato per noi. A quel punto i fotografi si sono accorti che il video poteva rendere di più rispetto a quanto erano abituati, e hanno cominciato a farci un pensierino. Il fatto che ora l'attrezzatura permetta di far convergere i due mondi ha conseguenze facilmente prevedibili, anche se alcuni fanno fatica a compiere il salto dalla fotografia tradizionale dato che non è solo una questione tecnica ma proprio di linguaggio visivo. In generale comunque l'elemento più critico pare essere l'audio: se non è perfetto in fase di ripresa non può essere recuperato più di quel tanto in fase di postproduzione, e questo è un motivo per cui molti filmati non possiedono audio - è un campo nel quale ci sarà da lavorare in futuro.

od: Investite molto nelle iniziative dedicate a rafforzare il senso di appartenenza a una community. Quanto è importante questo aspetto per il vostro business?

KT: Direi che è importantissimo: se noi oggi siamo quel che siamo lo dobbiamo proprio allo spirito di community. Quando hai 100.000 fotografi che ti seguono sentendosi parte di qualcosa è come se avessi a disposizione 100.000 venditori! E questo lo vediamo con le nostre iStockalypse, eventi che organizziamo in giro per il mondo due o tre volte all'anno invitando una sessantina di fotografi ai quali forniamo location, modelli, parrucchieri, truccatori, set, prop e tutto quel che serve. Sono iniziative per noi molto costose e impegnative da seguire, considerando che richiedono il lavoro di venti persone all'interno di una società che conta ancora 160 dipendenti; però i risultati sono eccezionali in termini di visibilità, di esperienza per i partecipanti e di qualità degli scatti che vengono prodotti in queste occasioni. E dopo che un fotografo ha preso parte a una 'Lypse, l'esperienza è talmente coinvolgente che diventa un iStocker a vita. A tanto può portare lo spirito di community.