Sono le quattro e mezza di un pomeriggio di novembre, cammino lungo la strada con i sandali impolverati e i miei piedi toccano la ghiaia cambogiana. Mentre le luci del giorno si spengono si accendono quelle delle giostre, dei tappeti elastici e degli autoscontri.

Ed ecco poi arrivare il fumo, gli odori e i rumori della gente che inizia a brulicare e a riempire quell'unica lunga strada poco fuori Siem Reap, lontana dal caos turistico di Pub Street e dei suoi infiniti locali per turisti.

Il posto di cui vi parlerò questa settimana si chiama Kyunghyu, un luogo che arriva quando arriva la notte, per poi sparire di nuovo con il levarsi del sole in un ciclo continuo che dura da molto, molto tempo.

Un luogo temporaneo che allo stesso tempo ha una stabilità, un caos che ha un ordine molto preciso: donne e uomini preparano prelibatezze nelle loro bancarelle, bambini e bambine si divertono a correre tra i banconi e i più grandi preparano la merce per i clienti. Piccoli ristoranti improvvisati si riempiono di cambogiani affamati mentre si allungano le code nei "negozi" imbottiti di vestiti e oggetti di ogni genere.

Kyunghyu è uno dei luoghi che più mi è rimasto impresso durante il mio viaggio in Cambogia, proprio per la sua durata così breve e definita ma allo stesso tempo ciclica: di giorno in giorno questa città si distrugge e si ricostruisce, e accade sempre qualcosa di diverso e di nuovo.

Una volta arrivata, la mia attenzione si è subito rivolta verso un piccolo lunapark e le loro luci neon coloratissime. Inizialmente ho camminato tra le diverse giostre alla ricerca di qualcosa che mi colpisse. Un bambino stava sistemando tutti i bersagli di un tiro a segno su dei traballanti scaffali, con fatica si allungava per raggiungere le mensole più alte. Un altro bambino urlava divertito mentre saltava sui tappeti elastici, altri ancora ridevano sopra dei piccoli ottovolanti a forma di papere.

In quel momento il sole stava tramontando, e la gente stava aumentando. Ho quindi messo via la reflex – troppo visibile ed ingombrante – e ho tirato fuori la Fujifilm X100T, compatta ed invisibile, di cui adoro la resa quando si tratta di fotografare in notturna. Mi piaceva l'idea di mantenere la luce del tramonto che illuminava il cielo di rosso da un lato, e di un turchese profondo dall'altro, e allo stesso tempo di esaltare l'ambiente luminoso che mi circondava.

Dopo mezz'ora mi sono diretta dall'altro lato di Kyunghuy: alcune persone stavano facendo una gara sugli autoscontri, intrattenendo il pubblico che li osservava. Tra di loro un gruppo di ragazzi ancora seduti sui loro motorini, forse erano appena arrivati o forse stavano aspettando che le mogli e i figli scendessero dalle macchine per andarsene.

Ho notato immediatamente un ragazzo che non era interessato a ciò che stava accadendo, come se fosse lì fisicamente ma mentalmente i suoi pensieri fossero altrove. Di fianco a lui un bambino ballava a ritmo di musica e batteva le mani entusiasta. Mi piaceva questo contrasto, così mi sono avvicinata lentamente – nel frattempo osservavo anche io la gara degli autoscontri cercando di non farmi notare. Ho inquadrato in modo da poter vedere una struttura illuminata di luce neon dietro la testa del ragazzo in contrasto con il cielo, e in modo da distribuire in modo equilibrato il gruppo di persone che avevo davanti. Dopo aver scattato la fotografia, ho continuato ad osservare l'espressione profonda di quel ragazzo... Ci vollero alcuni minuti prima che si risvegliasse da quel pensiero.

Ripensando a questa lunga strada, chiamata anche Road 60, dove la vera vita dei veri cambogiani trova un palco su cui andare in scena, rifletto sempre sulla contraddizione tra la sua bellezza e la sua fragilità. Nemmeno Kyunghyu è esente dalle contraddizioni di questo paese.

Ma nonostante questo, nonostante il rumore, l'odore e la baraonda, ognuno trova il suo momento di sospiro e sospensione. Come se fosse un caos in cui queste persone si sentono sicure, un caos che conoscono e che sanno come domare. Un caos che ho voluto fermare e a cui ho voluto dare un ordine mio.

 

 

Data di pubblicazione: maggio 2017
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